C’era
una volta una cicala che, seduta beatamente sopra una foglia, godendosi il sole
dell’estate, cantava tutto il giorno.
Se
passava un topino o una topina in cerca di semi, la cicala cantava:
Ahi, topino, quanto affanno,
che fatica tutto l’anno!
Quanto affanno, topolina:
la fatica ti rovina!
Ma il
topino o la topina non l’ascoltava, e continuava il suo lavoro.
La
cicala cantava e cantava sulla sua foglia verde, e se un’ape si posava ronzando
su un fiore vicino, lei cantava:
Quanta pena,
lavorare!
Quanta pena,
faticare!
Ma
l’ape continuava a succhiare il nettare, e non le badava.
Un
giorno, mentre stava al sole a cantare, la cicala vide una formica che passava
sul terreno lì sotto, trascinando un seme di grano dorato.
La
cicala si sporse dal bordo della foglia, e cantò:
Ahi, povera formica,
quanta brutta fatica!
Ahi, povera formica,
quanta triste fatica!
La
formica si fermò un attimo, si appoggiò al chicco di grano, alzò il capo verso
la cicala, e disse: “perché non mi aiuti, cicala? Così la mia fatica sarebbe
minore!”
La
cicala rise forte, e poi cantò:
Chi è cicala, chi è formica!
C’è chi canta, e chi fatica!
La
formica, senza dire altro, riprese a trascinare il suo chicco di grano.
Passarono
le settimane. Passarono i mesi.
L’estate
passò, e venne l’autunno. Le giornate erano più corte e più fresche.
Gli
animaletti del bosco si affrettavano ad accumulare il cibo nelle tane, mentre
la cicala continuava a cantare, anche se un po’ meno forte di prima.
La
foglia su cui stava diventava gialla, e le metteva un po’ tristezza.
Un
giorno, all’improvviso, la foglia si staccò, e la cicala cadde sul terreno.
Si
rimise dritta sulle zampe, tutta confusa, e si guardò attorno. Anche l’autunno,
ormai, stava per passare.
Le
foglie coprivano la terra, scendendo silenziose dagli alberi, e non c’era in
giro molto da mangiare.
La
cicala aveva fame, ma il terreno era ormai spoglio. Cominciava a far freddo.
La
cicala andava qua e là, frugando dappertutto alla ricerca di qualcosa da
mangiare, ma non trovava quasi niente.
Cadde
la prima neve. Il sole la sciolse. Poi ne cadde ancora.
La
cicala pensò di entrare nella tana del topo, ma non riuscì a spostare il sasso
che la chiudeva.
Pensò
di entrare nell’alveare, ma era chiuso da una porta di cera.
La
cicala, intirizzita e affamata, si avvicinò all’ingresso del formicaio. Era
stretto, ma anche lei era diventata magra, e riuscì a passare.
Cammina
cammina, arrivò in una grotta dove erano stesi migliaia di chicchi di grano,
belli, profumati, dorati.
Alla
cicala girava la testa per quel buon odore di grano. Ma attorno al grano
c’erano le formiche.
“Sorelle
formiche, mi date un po’ del vostro grano?” disse la cicala.
“Il
grano è per noi,” risposero le formiche. “Abbiamo lavorato tutta l’estate, per
avere cibo adesso.”
“Per
favore, solo due o tre chicchi!” implorò la cicala.
“Per
portare qui due o tre chicchi, due o tre di noi hanno lavorato due o tre
giorni,” spiegò una formica.
“Che
hai fatto quest’estate?” chiese un’altra formica.
“Ho
cantato,” rispose la cicala.
“E
ora balla!” dissero in coro le formiche.
Avviandosi
verso l’uscita, la cicala pensò: “Se riesco a passare l’inverno, quando verrà
l’estate, un po’ canterò, e un po’ lavorerò”.
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