Baldassarre era non soltanto un re straordinariamente buono e magnanimo, ma anche uno dei più saggi che avessero mai regnato in Oriente.
Un
tempo, un sapiente stregone gli aveva insegnato a interpretare il corso degli
astri. Da allora, ogni notte saliva sulla più
alta delle dodici torri del palazzo e leggeva nelle stelle, ed esse gli
parlavano, come lettere luccicanti ricamate su un panno nero. Lo informavano se
gli anni a venire gli avrebbero portato liete feste, ricche raccolte oppure
guerre e invasioni.
Una
sera scoprì una stella che splendeva più chiara di tutte le altre, una stella
che Baldassarre non aveva mai visto prima. Ardeva nel cielo buio come un
immenso fuoco. Accanto ad essa le altre stelle non erano che piccole,
insignificanti scintille. A lungo il re osservò quella luce splendente. Poi si
recò in biblioteca e prese il vecchio libro che gli aveva donato il suo
maestro, lo stregone.
“Apparirà
una stella”, lesse “più grande e più luminosa di quante gli uomini abbiano mai
visto. Sarà il segno della nascita di un principe, che regnerà sul cielo e
sulla terra. Ma agli uomini porterà la pace”.
“Anch’io
amo la pace, anch’io sono contro conflitti e guerre”, pensò Baldassarre
emozionato. “Voglio vedere questo principe. Io so com’è difficile provvedere
alla pace. Forse in questo compito potrò aiutarlo”.
Si
mise in fretta la corona in testa, gettò il mantello sulle spalle, si affrettò
a scendere nella corte e ordinò ai servi di preparare cammelli e cavalli per un
lungo viaggio.
“E
dove andrete?”, voleva sapere la gente. “Non lo so”, rispose Baldassarre, “seguiremo
la stella”. Ben presto i cavalli furono
sellati. I soldati che dovevano fare da scorta al re, vi montarono sopra. I
cammelli, che dormivano ancora con un occhio solo o mugghiavano scontenti,
erano stati caricati con otri pieni d’acqua e bisacce colme di provviste.
Tutto
quel chiasso aveva svegliato il giovane principe Irenus.
Lasciò
in fretta la sua stanza, corse giù per le scale e raggiunse suo padre. “Dove
vai?” chiese. “Vado dal giovane principe della pace a regalargli un calice d’oro,
figlio mio”, rispose Baldassarre.
“Lasciami
venire con te”, lo pregò Irenus.
“No”,
disse Baldassarre. “Torna a dormire, Irenus.”
La
carovana si mise in moto. Per lungo tempo si udirono ancora i fischi dei
cammellieri e il canto monotono dei soldati.
Irenus
tornò nella sua stanza e si vestì.
“Anch’io
voglio vedere il giovane principe”, si disse. “La stella indicherà il cammino
anche a me. Mio padre porta un calice d’oro al principe che è nato. Io gli
regalerò i miei tre giocattoli più belli.”
Incartò
la palla, regalatagli una volta dal suo amico.
“E’
lucida e splendente come il calice di mio padre”, pensò.
Poi
nascose tra i vestiti il suo libro d’illustrazioni preferito e chiamò Plutone,
il suo cane bianco.
Quando
gli mise il guinzaglio, per un attimo non fu più così certo di potersi separare
anche da lui. Irenus lasciò il palazzo e camminò tutta la notte. La stella gli
indicava il cammino.
Al
sorgere del sole giunse a un piccolo villaggio. Là vide una bambina che
piangeva sommessa. “Tutti i miei compagni mi deridono, perché i miei abiti sono
rattoppati. Nessuno vuol giocare con me”, si lamentava,
“Prendi
questa palla”, disse subito Irenus. “Così avrai una compagna di giochi”.
La
bimba fu così felice, che stentò a credere di poter davvero tenere la palla.
Si
fece sera, e la stella tornò a risplendere chiara nel cielo. Irenus proseguì il
suo cammino.
Il
mattino seguente giunse a una casetta. Là trovò un uomo che guardava fisso
dinanzi a sé e di tanto in tanto faceva un gran sospiro.
“Che
cos’hai?” chiese Irenus.
“Sento
la gotta in tutte le ossa”, si lamentò l’uomo. “Sono vecchio e malato. Un tempo
andavo di città in città e ho visto un po’ del mondo. Ora non riesco neanche
più a trascinarmi fin dal mio vicino. Preferirei morire”.
Allora
Irenus gli donò il suo libro. “Adesso è
tuo”, disse. “Ci troverai dentro il mondo intero, con tutte le piante e gli
animali”.
Il
vecchio aprì il libro con cautela. “Ci sono anche dei versi”, si rallegrò. “Mi
faranno compagnia. Ora non sono più solo”.
La
terza notte non finiva più. I piedi di Irenus erano doloranti, e Plutone
ansimava. Ma la stella era splendente come non mai.
Il
mattino seguente Irenus si fermò a riposare nella casa di un contadino. Là
abitava un ragazzo che aveva all’incirca la sua età.
Da
mesi la sua gamba malata lo costringeva a stare a letto. Quando il ragazzo vide
come Irenus riusciva a camminare e a stare in piedi senza fatica, serrò le
labbra, volse il capo verso la parete e non disse più una parola. Irenus
continuò a far domande, ma non ottenne più alcuna risposta.
Plutone
aveva voglia di giocare, e continuava a saltare vicino a Irenus. Mentre il suo padrone
non lo stava guardando d’un tratto saltò sul letto e si mise a solleticare il
ragazzo malato con la lingua e con le zampe, così a lungo che questi alla fine
fu costretto a ridere, si girò verso il cane e lo accarezzò. Quando Irenus lo
vide, prese il guinzaglio del suo cane e lo mise in mano al ragazzo.
Uscito
di casa, sentì che gli salivano le lacrime agli occhi. Era un dolore dover
abbandonare il suo compagno di giochi e non rivederlo mai più. Cominciò a
correre nella notte, per allontanarsi il più possibile da Plutone, corse senza
guardare la strada, inciampò, continuò a correre finchè cadde a terra sfinito,
e là rimase e si addormentò subito.
Quando
si svegliò, si sentì stranamente riposato e felice. D’un tratto anche il
pensiero di Plutone non gli faceva più male.
Vide
la stella che splendeva come il sole sopra un villaggio, e là emerse anche una
casa avvolta in una luce dorata.
In
quella casa c’erano un uomo e una donna che si chinavano sorridendo sulla culla
in cui giaceva il bambino: il nuovo principe della pace.
Accanto
alla culla c’era suo padre con altri due re. I re deposero i loro regali ai
piedi del bimbo: un vaso prezioso pieno di mirra, una coppa d’argento con
dentro incenso e il calice d’oro di Baldassarre.
Irenus
si chinò sulla culla e si rivolse alla donna. Voleva raccontarle che la sua palla
aveva reso felice una bambina povera, il suo libro aveva rallegrato un vecchio
uomo e il suo cane aveva consolato un ragazzo malato, voleva spiegarle i motivi
per cui non aveva più nulla da regalare. Ma la donna lo capì, prese le mani
vuote del ragazzo tra le sue e le baciò.
"Qual è il regalo più bello?
Il perdono!
Il perdono!
E quale è la cosa più bella di tutte?
Di certo, l’amore."
Di certo, l’amore."
(Madre Teresa di Calcutta)