«Specchio,
specchio delle mie brame, chi è la più bella di tutto il reame?»
Certo,bella
era bella, non c’è niente da dire, ma sapeste quanto era antipatica!
Eppure
la risposta, ormai monotona, da anni era sempre la stessa:
«Sei
tu, regina, più bella di tutte, le altre, al confronto, son racchie e son
brutte!»
Allora
rideva a bocca spalancata e il suo sorriso era il più bello di tutti, i suoi
denti i più bianchi di tutti, i suoi occhi i più vividi e scuri.
Ed
ero io a renderla così felice. Non che lo facessi apposta, ero obbligato a dire
la verità, se no ci avrei perso la faccia … La faccia? A pensarci bene, che
faccia avrei mai perso, io, che di facce ne ho milioni? Io ho faccia di cigno,
se davanti a me passa un cigno, e di leone, se passa un leone. Ho persino
faccia d’albero e di cielo, volendo, e faccia di vecchio o di bambino, ma
specialmente, per anni, ho avuto faccia di regina, perché lei non faceva che
specchiarsi e io non potevo far altro che rifletterla.
Sono
uno specchio, non l’avevate ancora capito? Ma non uno specchio qualunque, io
sono uno specchio magico.
Prima
ero un normale specchio di un mercante e forse, prima o poi, mi avrebbe
venduto, come i mobili e le altre suppellettili che commerciava. Ma un giorno
ha visto lei e non ha capito più niente.
Bella
era bella, non c’è da dire, ma sapeste quanto era … ah sì, ve l’ho già detto!
Era antipatica.
Così,
per conquistare il suo cuore, il mercante, che si era messo in testa di
sposarla, mi ha portato da un mago che mi ha reso fatato. Poi mi ha regalato a
quella bellissima ragazza che mentre si specchiava, lusingata, ha chiesto:
«Specchio,
specchio delle mie brame, chi è la più bella di tutto il reame?»
E
io, che potevo solo dire la verità, ho risposto:
«Sei
tu, fanciulla, più bella di tutte, le altre, al confronto, son racchie e son
brutte!»
Avreste
dovuto vedere che faccia ha fatto, a sentire che parlavo. Io l’ho vista,
naturalmente, anzi, l’ho riflessa. Ma ancor più stupita e soddisfatta è rimasta
per la mia risposta, e da quel momento … si è montata la testa.
A
sposare il mercante, che le aveva fatto quel prezioso dono, non ci ha pensato
neppure un attimo.
«Se
son così bella,» si è detta «mi vorranno anche conti e marchesi, duchi e
granduchi e – perché no? – pure il re in persona potrebbe desiderarmi come
sposa.»
Il
re veramente una sposa ce l’aveva già, amata da lui e da tutto il popolo del
suo regno. Per giunta aspettava un erede, che sarebbe nato a giorni.
Quando
nacque, non si trattava di un maschio, ma di una splendida bambina, con la
boccuccia rossa come il sangue, i capelli color dell’ebano e la pelle bianca
come la neve. Per questo venne chiamata Boccarossa … No, scusate, mi sto
sbagliando … la chiamarono Biancaneve.
Purtroppo però
sua madre, la regina, morì proprio nel darla alla luce.
La mia padrona,
che nel frattempo aveva rifiutato di maritarsi anche con duchi e conti, perché
ogni giorno si faceva più orgogliosa ed esigente, mi si è piazzata davanti e mi
ha chiesto come al solito:
«Specchio,
specchio delle mie brame, chi è la più bella di tutto il reame?»
E io, anche se,
ve l’ho detto, mi era proprio antipatica, non potuto fare a meno di risponderle
come al solito:
«Sei
tu, fanciulla, più bella di tutte, le altre, al confronto, son racchie e son
brutte!»
Lei
ha sorriso, piena di superbia, poi ha chiesto ancora:
«E
dimmi, specchio, secondo te, posso aspirare a esser moglie di re?»
Mio
malgrado ho dovuto dirle:
«Se
vi vedesse il nostro sovrano, vi chiederebbe senz’altro la mano!»
Così
ha trovato il modo di farsi vedere dal re e, in men che non si dica, la mia
padrona è diventata regina e io sono diventato lo specchio magico di una
regina.
Per
anni le ho rimandato la sua splendida immagine, confermandole sempre che era
lei la più bella del regno. Pareva anzi che la sua bellezza aumentasse ogni
giorno, ma insieme aumentava anche la sua superbia e lei si occupava solo di se
stessa, di vestirsi elegantemente, di imbellettarsi e, naturalmente, di
rimirarsi.
Invece
della piccola Biancaneve, a cui avrebbe dovuto far da madre, non si occupava
affatto. Ma la bambina, anche se trascurata, cresceva con un bel carattere,
dolce e felice, cantava come un usignolo e ogni giorno si faceva più bella.
E
un giorno, quando la regina come suo solito mi ha chiesto:
«Specchio,
specchio delle mie brame, chi è la più bella di tutto il reame?»
La
mia risposta è stata:
«Bella
sei bella, non c’è che dire, ma tu lo sai che non posso mentire e Biancaneve,
dalla chioma corvina, è molto più bella di te, o mia regina!»
Per
questa risposta ho rischiato di morire, cioè di andare in mille pezzi, perché
mi ha scagliato addosso una spazzola con l’impugnatura d’argento.
E’
diventata verde di rabbia, poi viola di furore e non era più molto bella a
vedersi.
Da
quel giorno non si è più data pace: una ragazzina, la sua figlia adottiva, era
più bella di lei!
L’invidia
la rodeva come un tarlo.
Così,
una mattina chiamò un suo servo, un cacciatore, e gli ordinò: «Conduci
Biancaneve nel bosco e lì uccidila. Poi, come prova, portami il suo cuore!»
L’uomo
fece come gli era stato detto, ma poi, nel folto del bosco, non ebbe il
coraggio di uccidere una giovinetta così bella e innocente.
«Fuggi,
la regina ti vuole morta, ma io le porterò il cuore di un cervo al posto tuo»
disse allora a Biancaneve.
La
poverina, che non immaginava di essere così odiata, fuggì in lacrime, decisa a
non fare mai più ritorno al castello.
Come
faccio a saperlo? Bé, sono o non sono uno specchio fatato? Ma non voglio
vantarmi e diventar superbo come la regina. E quindi vi dirò che, se conosco
così bene la storia di Biancaneve, è solo per l’incantesimo di un mago: so chi
è la più bella, vedo sempre dove si trova e devo dire sempre la verità. E’ così
che sono stato programmato: la mia è una vita dedicata alla bellezza e alla
verità.
Ma
torniamo a Biancaneve che verso sera era arrivata, stremata, a una casetta nel
folto del bosco e, trovando la porta aperta, vi era entrata per cercarvi un
rifugio.
Era
questa la casetta di sette nani che tutto il giorno lavoravano in miniera e vi
facevano ritorno solo la sera. Biancaneve trovò la tavola apparecchiata con
sette piattini, ogni piattino col suo cucchiaino, e sette coltellini, sette
forchettone e sette bicchierini. Lungo una parete, l’uno accanto all’altro,
c’erano sette lettini, coperti di candide lenzuola. Biancaneve aveva tanta fame
e tanta sete che mangiò un po’ da ogni piattino e bevve un goccio da ogni
bicchierino, perché non voleva portar via tutto a uno solo. Poi era così stanca
che si sdraiò in un lettino, ma era troppo stretto, ne provò un altro, ma era
troppo corto. Allora li provò tutti, finché il settimo fu quello giusto e lì si
coricò e si addormentò.
Quando
i nani col buio fecero ritorno, si accorsero che qualcuno era entrato in casa.
Accesero le loro sette candeline e il nano più vecchio esclamò: «Guardate,
qualcuno ha mangiato dai nostri piattini!»
«E
ha pure bevuto dai nostri bicchierini!» disse un altro.
«Guardate,
le lenzuola di ogni letto sono un po’ spiegazzate!» notò il più giovane,
indirizzando la luce della candela verso la parete dove c’erano in fila tutti i
lettini.
Poi,
illuminando l’ultimo giaciglio, che era proprio il suo, vide che lì dormiva una
fanciulla meravigliosa.
«Oh!»
fece il nano e «Oh, oh!» fecero gli altri sei quando li chiamò a vederla.
«Com’è
bella!» esclamò il nano più vecchio.
«Che
viso dolce!» disse un altro.
«Che
aria stanca!» notò il più giovane.
«Lasciamola
dormire, io dormirò in poltrona, e domattina scopriremo chi è.»
Al
mattino, quando Biancaneve aprì gli occhi, quale fu la sua sorpresa nel vedere
sette nanetti chini su di lei a vegliare il suo sonno con sette sorrisi
affettuosi e sette barbe folte.
«Da
dove vieni, bambina?» chiese il nano più vecchio.
«Come
sei giunta qui?» domandò il più giovane.
E
Biancaneve raccontò ai nani la sua triste storia.
«Puoi
restare con noi finché vorrai» disse allora il nano più vecchio. «In cambio ci
terrai pulita la casa e ci farai da mangiare» propose un altro.
«Però,
mi raccomando, non aprire mai a nessuno!» le consigliò il più giovane, perché i
sette nani temevano che la mia padrona, la perfida regina, potesse scoprire che
Biancaneve fosse ancora viva e la venisse a cercare.
Astuti
e previdenti, quei nani, non c’è che dire! Anche perché la regina non ci ha
messo molto a scoprire che Biancaneve era ancora viva.
Mi
dispiace doverlo dire, ma è stato per colpa mia. Involontaria, però, lo giuro!
Ve l’ho già detto, non posso farci niente, sono obbligato a dire la verità.
La
regina, credendo che il cuore del cervo fosse quello di Biancaneve, aveva
esultato. Poi aveva raccontato al re che la giovane figlia si era avventurata
incautamente nel bosco ed era stata sbranata da una belva. Quindi aveva finto
di piangerne la morte e per un po’ era rimasta soddisfatta e tranquilla. Ma non
poteva resistere molto tempo senza specchiarsi e senza pormi la solita domanda,
perché era sempre tormentata dall’idea che qualcuna potesse diventare più bella
di lei.
Così,
un giorno, dopo essersi pettinata e imbellettata davanti a me, mi ha chiesto:
«Specchio,
specchio delle mie brame, chi è la più bella di tutto il reame?»
Ho
cercato di prender tempo. Ho finto persino un attacco di tosse, ma poi la
verità mi è venuta fuori da sola, come l’acqua che sgorga da una fonte:
«In
questo castello, o mia regina, sei certo tu la più carina, ma nella casa dei
nani, nel bosco, una più bella di te io conosco. E poiché il vero dire si deve,
quella fanciulla è Biancaneve!»
La
regina ha cacciato un urlo così acuto da mandare in pezzi i cristalli. Ho
temuto per la mia incolumità. Poi, come una furia, si è strappata i vestiti
eleganti e si è arruffata i capelli, sfregandosi via dalla faccia rossetto e
trucco. Quindi si è vestita e camuffata come una vecchia merciaia.
Nessuno
avrebbe potuto riconoscere in lei la bella regina, neppure io che la riflettevo
ogni giorno.
Con
un canestro pieno di cinture, stringhe e nastri, si recò alla casa dei sette
nani e lì bussò dicendo: «Roba bella! Chi compra, chi compra?»
Biancaneve,
che non vedeva mai nessuno, sempre impegnata a pulire e a far da mangiare, si
affacciò alla finestra e subito desiderò un bel nastro rosso da usare come
cintura. Così si scordò la raccomandazione dei nani e aprì la porta alla
vecchia che pareva un’innocua merciaia.
«Lascia
che ti aiuti io, piccina!» disse la mia perfida padrona, travestita da vecchia
merciaia, e le passò in vita il nastro rosso. Poi strinse così forte da far
cadere in terra Biancaneve, come morta. Quindi tornò soddisfatta al castello.
Quando
i sette nani tornarono a casa trovarono Biancaneve riversa.
«E’
morta» si disperò il nano più vecchio.
«Guardate
quel nastro rosso com’è stretto!» notò un altro.
«Sleghiamolo,
presto! Forse è solo svenuta!» esclamò il più giovane.
Slegato
il nastro, le guance di Biancaneve ripresero colore e la bocca esalò un
respiro: per fortuna era ancora viva.
E
per sfortuna sono stato nuovamente io a doverlo dire alla regina, quando ancora
una volta mi ha chiesto:
«Specchio,
specchio delle mie brame, chi è la più bella di tutto il reame?»
«Ehm,
veramente, non so come dire, ma non ti posso disobbedire, e quindi questa è la
verità: Biancaneve splende di vita e beltà!»
Lei
mi ha scagliato contro una boccetta di profumo, ma per fortuna non mi ha
centrato. In cuor mio ho maledetto quel mago che mi costringeva a dir sempre la
verità.
La
regina si travestì ancora, prendendo l’aspetto di una vecchia diversa e, poiché
se ne intendeva di stregoneria, preparò un pettine avvelenato.
Arrivata
alla casa dei sette nani, bussò alla porta e gridò:«Roba bella, vendo roba
bella!»
Biancaneve
questa volta non aprì la porta ma, affacciandosi alla finestra, disse: «Ho
promesso di non lasciare entrare nessun estraneo, mi spiace.»
«Ma
guardare ti sarà permesso» disse la vecchia, che altri non era che la regina. E
così dicendo le mostrò il pettine avvelenato. Era un oggetto di fattura
squisita e a Biancaneve piacque tanto che si decise ad aprire la porta. «Lascia
che ti pettini!» si offrì allora la mia padrona e, non appena le passò il
pettine tra i capelli, Biancaneve cadde a terra per effetto del veleno.
«E’
finita per te!» gridò esultando la perfida regina, e tornò trionfante al castello.
Ma
anche questa volta i nani, sospettando della matrigna, cercarono e trovarono il
pettine avvelenato. Appena l’ebbero tolto, Biancaneve tornò in sé. Lei raccontò
quanto era accaduto e i sette nani le fecero nuovamente mille raccomandazioni.
La
regina naturalmente ha scoperto ben presto che la bella Biancaneve era ancora
viva e sempre più bella di lei. Come è venuta a saperlo? Bé, dài, lasciamo
perdere … E va bene, tanto lo so che ormai ve lo immaginate. Sì, sono stato io
a dirglielo e vi assicuro che mi è dispiaciuto molto e, come al solito, ho
rischiato che mi distruggesse.
Furibonda,
la regina si è travestita ancora, questa volta da vecchia contadina con un
cesto di mele da vendere. Ma tra le mele la più bella, lucida e rossa, l’ha
intinta per metà nel veleno.
Ho
pensato che fosse il caso di dire la mia, almeno ci ho provato:
«Ma
non ti pare una cosa eccessiva,
se
pure lasci che lei sopravviva,
sarai
pur sempre seconda in beltà
e
pure lei crescerà e invecchierà!»
Questa
volta mi ha fatto male davvero. Mi ha tirato un pettine d’osso, incrinandomi un
angolino. Ho deciso di non aprire più bocca e la regina è uscita come una
furia.
Stessa
scena. «Vendo mele, belle mele! Chi compra, chi compra?»
E
qui, una piccola critica a Biancaneve la devo fare: bella era bella, sì, ma
anche un po’ sciocca, o per lo meno avventata. Non ditemi che anche voi ci
sareste cascati una terza volta! Io sono sicuro che nessuno avrebbe accettato
una mela rossa da una sconosciuta, dopo gli episodi del nastro e del pettine, e
con tutte le raccomandazioni che avevano fatto i sette nani. Lei invece l’ha
accettata. Un po’ ha esitato, però, devo riconoscerlo. Ma poi ha ceduto, quando
ha visto che la contadina addentava metà della mela rossa dicendole: «Di cosa
hai paura, piccola, che ti avveleni? Vedi, la mangio anch’io! E non dovrai
neppure pagarla: te la regalo.»
Naturalmente
la regina aveva dato un morso alla metà innocua, quella che non era stata
intinta nel veleno.
Così
Biancaneve, pur non aprendo la porta, tese la mano fuori dalla finestra, prese
la mezza mela che le veniva offerta e l’addentò. Subito cadde a terra priva di
vita, mentre la matrigna fuggiva ridendo selvaggiamente per la riuscita del suo
misfatto.
Questa
volta, quando i nani tornarono a casa, non poterono fare nulla, se non
piangerne la morte.
«Niente,
sul suo corpo non c’è niente! Questa volta è morta davvero!» pianse il nano più
vecchio.
«Eppure
è bella come prima, con la pelle candida e le labbra rosse!» sospirò un altro.
«Non
possiamo mettere sotto terra una fanciulla così! Costruiamole una bara di
cristallo» propose il più giovane. E così fecero.
Sulla
bara trasparente, perché si potesse ammirare Biancaneve da ogni lato, misero il
suo nome a lettere d’oro e scrissero che era figlia di re. Poi portarono la
bara su un colle, al centro di una radura, e lì, a turno, la vegliarono per
giorni e notti. Biancaneve rimase molto, molto tempo nella bara, ma sembrava
che dormisse e non che fosse morta, perché aveva sempre la pelle bianca come la
neve, le labbra rosse come il sangue e i capelli scuri color dell’ebano.
Un
giorno, passò dalla radura un principe a cavallo e si fermò a rimirare, rapito,
la fanciulla nella bara. Poi lesse il suo nome, scritto in lettere d’oro, e
implorò il nano che la vegliava: «Ti prego, dammi questa bara e ti pagherò ciò
che vuoi!»
Il
nano disse che non avrebbe ceduto la bara con Biancaneve per tutto l’oro del
mondo e ne parlò anche con gli altri nani, ma tutti e sette furono dello stesso
parere.
Il
principe però tornava ogni giorno a guardarla e non poteva più vivere senza
vederla. Tanto disse e tanto fece che infine i nani decisero di regalargli la
bara e lui promise che ogni giorno avrebbe vegliato sul sonno eterno di
Biancaneve.
Mentre
i suoi servi trasportavano la bara a spalla, accadde però che uno di loro
inciampasse. La bara scivolò a terra e, per la scossa della caduta, il pezzo di
mela avvelenata che Biancaneve aveva inghiottito le uscì dalla gola.
Biancaneve
si stiracchiò, aprì gli occhi e si mise seduta, fresca e riposata come chi si
risveglia da un bel sonnellino. «Dove sono?» chiese sbadigliando e guardandosi
intorno stupita.
«Sei
con me e, se vuoi, ci resterai tutta la vita perché ti amo e ti farò mia
sposa!» disse il principe, pieno di gioia e stupore.
Quel
principe era davvero bello e gentile, e Biancaneve accettò la sua proposta.
Alla
festa di nozze vennero invitati anche i sette nani, e pure i sovrani del regno
vicino che erano, naturalmente, il papà e la matrigna di Biancaneve.
Così,
la regina ha indossato il più sontuoso dei suoi abiti, si è fatta pettinare e
imbellettare dalle sue ancelle, ha messo una splendida parure di diamanti e
poi, come al solito, è venuta a pavoneggiarsi davanti a me, cinguettando:
«Specchio,
specchio delle mie brame, chi è la più bella di tutto il reame?»
Devo
dire che è stata una gran gioia per me poterle rispondere:
«La
più bella al castello, regina, sei tu,
ma
la sposa novella lo è molto di più!»
Anche
sotto la cipria rosa, ho visto affiorare il verde della rabbia.
«Un’altra
più bella di me? Non posso crederci, devo vederla!»
E
il tono era quello di chi pensa:
‘Devo
ucciderla, strozzarla, triturarla, avvelenarla …’
Io
avevo detto la verità, e questa volta me l’ero cavata senza svelare che si
trattava sempre di Biancaneve. Va bene non mentire, ma in fondo non ero tenuto
a esagerare con le informazioni. Lei non mi ha chiesto il nome e io non
gliel’ho detto.
Si
recò dunque alla festa, rosa dall’invidia e tormentata dalla curiosità. Quale
non fu il suo sgomento nel vedere che la sposa altri non era che Biancaneve! La
regina restò impietrita, mentre il re correva ad abbracciare la figlia che
aveva creduto morta. Ora avrebbe saputo la verità e senz’altro avrebbe fatto
uccidere la regina per le sue colpe.
Così
la perfida matrigna fuggì e corse così lontano, e corse così tanto, e corse
così forte, che infine le scoppiò il cuore in petto e morì.
Biancaneve
invece visse felice e contenta, e così finisce la sua storia.
Come?
Cosa volete sapere ancora? Sei tu che hai parlato, tu che hai appena letto
questa storia? Mi è sembrato di sentire una vocina …
«Specchio,
specchio delle mie brame, chi è la più bella di tutto il reame?»
Ah,
no, non ricominciamo, per carità! Sai allora cosa ti dico?
«Tu
che ti specchi ogni mattina, che tu sia bimbo, oppure bambina, lo so, vorresti
sapere se c’è un altro al mondo più bello di te.
Ma
no, mi dispiace, io non te lo dico,
non
voglio che un altro per te sia nemico,
e
dopo ‘sta storia son molto guardingo
e
di essere specchio normale io fingo,
perché
per davvero mi sono stufato
di
fare ancora lo specchio fatato!»