IPPOLITA la bambina perfetta.
C’era
una volta una bambina che si chiamava Ippolita e che cercava degli amici con
cui giocare …
Un
giorno Ippolita arrivò in una città dove era in corso una gara di aquiloni.
Vinceva chi faceva volare il suo aquilone più in alto.
Anche
Ippolita fece volare il suo, ma la gara fu vinta da un bambino con gli occhi a
mandorla: il suo aquilone a forma di drago volò più in alto e più a lungo degli
altri ed era anche il più bello. Ippolita pensò: «Non è
divertente giocare con bambini dagli occhi a mandorla perché tanto vincono
sempre loro!». E così decise di andarsene via.
Cammina cammina Ippolita arrivò in un quartiere abitato solo
da bambini con gli occhi tondi che correvano sui pattini. Ippolita cominciò a
correre sui pattini insieme a loro.
Era bravissima, ma una bambina coi capelli ricci e neri si
mise a fare giravolte su se stessa, come una trottola. Era davvero più veloce e
brava di lei e tutti la ammiravano.
«Sì, però ha i capelli ricci e neri e io preferisco giocare
con bambini che hanno i capelli lisci e biondi come i miei» pensò.
E così si tolse i pattini e andò via.
Cammina cammina Ippolita arrivò in un parco pieno di bambini
con gli occhi tondi e i capelli biondi e lisci. Giocavano con delle palle
colorate e tra di loro c’era un bambino che lei trovò bellissimo.
Con il cuore che le batteva veloce Ippolita gli si avvicinò.
Ma lui non le rivolse neppure uno sguardo e continuò a
giocare con le sue amiche e i suoi amici.
«Non capisco come può trovarsi bene con loro, che sono bassi
e grassottelli» pensò Ippolita.
Lei era snella e, nonostante fosse ancora una bambina, si
sentiva molto alta.
Allora si accorse che non ci teneva più a giocare con il
bambino bellissimo né tantomeno con i suoi amici. Così se ne andò dal parco.
Cammina cammina Ippolita arrivò in una piazza piena di
bambini alti e snelli, con gli occhi tondi e i capelli biondi e lisci.
Saltavano con la corda.
Ippolita si unì a loro, ma spesso sbagliava. No, non era
certo brava come la bambina con i sandali: una vera campionessa! Poteva fare
più di cento salti senza sbagliare mai. Più la guardava e più Ippolita la
invidiava, finché gettò per terra la corda e se ne andò via.
«Dopotutto, meglio giocare con chi, come me, porta scarpe da
tennis» si disse.
Cammina cammina Ippolita arrivò in un cortile ai piedi di un
grattacielo. Tanti bambini alti e snelli, con gli occhi tondi, i capelli biondi
e lisci e che portavano scarpe da tennis correvano attorno al grattacielo.
Facevano delle gare.
Ippolita cominciò a correre insieme a loro. Correre le
piaceva, le era sempre piaciuto. Non era la più lenta, ma certo non era la più
veloce.
Ad arrivare primi al traguardo erano sempre un paio di
bambini.
Dopo cinque gare Ippolita si stancò: «I maschi vincono
sempre! E’ più divertente giocare solo tra bambine» pensò. E così si allontanò.
Cammina
cammina Ippolita salì fino al decimo piano del grattacielo dove alcune bambine,
proprio come piacevano a lei, facevano musica in una stanza. Ognuna di loro
suonava uno strumento diverso. La loro musica era così allegra che Ippolita
iniziò a ballare.
Finché
una bambina dagli occhi blu le diede un tamburello coi sonagli. «Così puoi suonare anche tu» le disse.
Ippolita la ringraziò, ma non prese il tamburello: non osava
suonarlo.
«Non voglio fare una brutta figura, soprattutto davanti a
una bambina che non ha gli occhi verdi come me» pensò.
Così decise di salire a vedere se c’erano bambine più
simpatiche su un piano più alto.
Al dodicesimo piano Ippolita vide sei bambine sedute davanti
a sei computer. Erano tutte alte e snelle, con i capelli biondi e lisci, gli
occhi tondi e verdi e con le scarpe da tennis ai piedi.
«A che cosa giocate? Posso giocare con voi?» chiese loro
Ippolita.
Nessuna delle sei bambine le rispose.
«Sono sorde o sono semplicemente delle maleducate» si disse
Ippolita.
Poi pensò che comunque delle bambine senza un orologio al
polso destro non sarebbero mai potute essere sue amiche.
Perché?
Perché naturalmente Ippolita portava il suo al polso destro.
Al ventiquattresimo piano Ippolita entrò in una stanza dove
c’erano solo tre bambine sedute a un tavolo.
Tutte e tre le assomigliavano molto e portavano anche loro
un orologio al polso destro.
Giocavano a tirare i due dadi che avevano in mano. Chi
faceva saltar fuori il numero più alto era la vincitrice.
Appena videro Ippolita le bambine la invitarono a giocare
con loro. La prima volta vinse Ippolita. La seconda volta no.
Neppure la terza.
Neppure la quarta.
Neppure la quinta.
Neppure la sesta.
Mentre stava tirando i dadi per la settima volta, Ippolita
decise che quel gioco non le piaceva.
«E poi quelle bambine non portano nemmeno gli occhiali!» si
disse.
Così si alzò e se ne andò.
Al trentaseiesimo piano del grattacielo Ippolita entrò in
una piccola stanza e vide due bambine identiche, senz’altro due gemelle, che
giocavano a ping-pong.
Era difficile giocare a ping-pong in una stanza così
piccola, ma loro ci riuscivano ugualmente.
Ippolita aspettò che la partita terminasse per sapere come
si chiamavano, ma la partita non terminava mai.
Allora Ippolita se ne andò pensando che comunque non si
sarebbe trovata bene con due bambine che non avevano, come lei, almeno tre
unghie della mano sinistra pitturate di verde.
Quattro piani più su Ippolita trovò una porticina alta più o
meno come una mezza finestra. Sopra alla porticina c’era scritto:
Club delle bambine
alte e snelle
con le scarpe da tennis ai piedi
un orologio al polso destro
gli occhi tondi e verdi
gli occhiali
i capelli biondi e lisci
e che hanno tre unghie
della mano sinistra
pitturate di verde
«Ecco il posto giusto per me!» esclamò Ippolita. «Finalmente
non sarò più sola! Finalmente troverò delle amiche simpatiche e potrò vivere
felice insieme a loro!».
Ippolita si chinò,
aprì la porta,
si mise a quattro zampe,
entrò.
Si accorse che la stanzetta era così piccola che lì dentro c’era
posto solo per lei.
Sul muro trovò uno specchio:
lo sollevò,
ci guardò dentro,
vide la sua faccia di bambina
triste
che la stava guardando
e scoppiò a piangere.
In fondo a quella stanzetta
c’era una finestra
piccola piccola.
Ippolita si sdraiò
sul pavimento,
ci infilò dentro la testa
e vide dall’alto tutta la città,
con tanti quartieri, parchi
e cortili.
E ovunque c’erano bambine
e bambini con la pelle
e i capelli di vari colori.
Bambine e bambini più alti
e più bassi e più grassi di lei.
E vestiti tutti in modo diverso.
Bambine e bambini
che giocavano
e che avevano tutti,
ma proprio tutti,
l’aria di divertirsi.
Ippolita si asciugò le lacrime
e …
… corse giù in strada a giocare insieme a loro. E si accorse
che era finalmente felice.
Questa storia (libro), il mio "pastrugno" l'ha regalata alla sua amica Ginevra che l'ha invitato alla sua festa di compleanno! ^___^
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