Questa storia è pensata per parlare ai bambini di disabilità e in particolare di che cosa significa per la famiglia accogliere la nascita di un bambino disabile. Attraverso lo sguardo, le emozioni e le esperienze di una sorella, si affrontano temi difficili come la diversità e l'accettazione, ricordandoci che ognuno a suo modo è raro e per questo speciale.
Questa storia è per
quei bambini e quei grandi
che non si
accontentano
di essere uguali e che non
hanno paura di essere diversi.
MIA SORELLA
E’ UN
QUADRIFOGLIO
Quando è nata, mia sorella era
un fagotto di ciccia, come tutti i neonati.
Sono andata a trovarla in
ospedale e mi è sembrata bruttissima, ma
anche carina.
Era così piccola che bisognava
proteggerla.
Speravo solo che la mamma
continuasse a volere bene anche a me. Sì, diciamolo: ero gelosa.
La mamma aveva scelto già il
nome.
Io mi chiamo Viola e lei doveva
chiamarsi Mimosa, perché sono due fiori e i colori viola e giallo stanno bene
insieme.
Il papà quando l’ha vista ha
detto: «Ma quali fiori …». E si è messo a guardare
fuori dalla finestra.
Io mi
sono offesa per me e anche per Mimosa.
Una
nonna piangeva.
L’altra
non è nemmeno venuta con noi all’ospedale.
La
mamma si è arrabbiata.
Era
arrabbiata, ma anche triste.
Poi
sono tornate a casa.
Io ero
contenta, perché preferivo stare a casa mia invece che a casa della nonna dove
mi avevano mandato quando la mamma e Mimosa erano in ospedale.
E poi
dovevo controllare che Mimosa non prendesse il mio posto. I fratelli piccoli
sono tremendi.
A casa
però qualcosa non andava.
Il papà
una sera non è tornato a dormire. Ho chiesto dov’era e la mamma ha detto che
era via per lavoro, ma io lo sapevo che non era vero, perché lui fa il
professore di scuola e non va mai via per lavoro tranne quando c’è la gita, e
allora ce lo dice.
E
comunque la mamma l’ha detto con una voce piccola che non era la sua, così ho
capito che era una bugia, o una cosa che non voleva dirmi.
La
nonna veniva a trovarci spesso e ripeteva: «Bisogna essere forti. Bisogna avere
coraggio».
Io ero
d’accordo: ci vuole del coraggio a prendersi in casa un bambino piccolo che
piange tanto e continua a sporcarsi e devi cambiarlo dieci volte al giorno.
Poi il
papà è tornato. Aveva la faccia di uno che non ha dormito bene.
Ha
detto alla mamma: «Scusa», e l’ha stretta forte.
Mi ha
preso in braccio e mi ha stretto forte.
Poi ha
preso in braccio Mimosa e l’ha stretta, ma piano, perché i bambini piccoli sono
molli.
Eravamo
tutti insieme e io mi sono sentita bene.
Io l’avevo
già capito da sola che Mimosa era diversa dagli altri bambini. Ma uno non può
mica chiedere scusa per quello che è. E’ così e basta.
Si è
capito meglio quando ha cominciato a crescere. Cresceva piano, comunque, perché
succhiava il latte con fatica e quando ha cominciato a mangiare le pappe non
andava tanto d’accordo con il cucchiaino.
L’altra
nonna continuava a non venirci a trovare.
Una
volta che è venuta a prendermi a scuola le ho detto: «Non devi aver paura di
Mimosa. Non mangia nessuno».
Le sono
venute le lacrime agli occhi, ma non ha detto niente. Mi ha accompagnato a casa
e mi ha lasciato sul pianerottolo come al solito.
Poi un
giorno è entrata. Aveva portato i pasticcini, ma non ne ha mangiato nemmeno
uno. Io invece ne ho mangiati sette.
«Certo,
è diversa» ha detto guardando Mimosa, che dormiva tranquilla in braccio alla
mamma. «Ma siamo tutti diversi, vero?»
La
mamma ha fatto sì con la testa. Non hanno parlato molto. Però da allora l’altra
nonna viene da noi tutti i giovedì con i pasticcini.
Adesso
che li mangia anche Mimosa facciamo a gara a chi divora più cannoncini. A volte
vinco io che sono più grande, a volte vince lei.
E’ una
tale mangiona.
E’
vero: Mimosa è diversa.
Mi
hanno spiegato perché, ma mi è sembrata una faccenda complicata.
Non ci
ho capito molto.
E’ una
bambina tonda, con le guanciotte come un criceto e i capelli morbidi color
nocciola. Quando ride gli occhi le spariscono nelle pieghe della faccia. E’ una
che ride molto.
E’
affettuosa, abbraccia tutti e vuole che le diano la mano. Parla poco, dice le
frasi lentamente, come se tu non capissi.
A volte
però è lei che non capisce.
Ci
vuole un po’ di pazienza. Molta pazienza.
A volte
mi sembra che venga da un altro pianeta.
Un
pianeta strano dove tutti fanno le cose piano, sorridono e si abbracciano,
proprio come fa lei.
Quando
andiamo in posti nuovi, come per esempio in vacanza, all’inizio è un po’
difficile.
La
gente la guarda con curiosità ma poi fa finta di ignorarla. Lei però sbaraglia
tutti perché si avvicina, sorride e ti guarda da sotto in su, e non puoi fare a
meno di accorgerti che è lì e chiede la tua attenzione.
Quasi
sempre la gente finisce per sorridere anche lei.
Comunque
non andiamo molto in posti nuovi.
E’ più
facile andare dove la gente conosce già Mimosa.
Il
problema di solito sono i grandi.
I bambini
meno. Mimosa ha imparato che non si strappano i giochi agli altri bambini, c’è
voluto un sacco di tempo a farglielo capire, però adesso lo sa.
Quando
vede un gioco che le piace lo fissa con uno sguardo così pungente che alla fine
il proprietario si arrende e glielo presta. Qualche volta lei non vuole
restituire il gioco. Ci stiamo lavorando.
Certe
volte penso che stavo meglio quando ero figlia unica e avevo la mamma e il papà
tutti per me. L’ho detto a Lilli, che è la mia migliore amica e ha tre fratelli
più grandi, e lei mi ha confidato che pensa la stessa cosa. Anche Alberto dice
che suo fratello piccolo è uno strazio.
Siamo
tutti d’accordo su questa cosa.
I
fratelli sono una cosa complicata.
Un po’
perché ti rubano spazio.
Un po’
perché, se sono più piccoli, si prendono tutte le attenzioni proprio perché
sono piccoli.
Se poi
hai una sorella che è più piccola e anche un po’ diversa, è anche peggio.
Mia
sorella non mi piace quando pianta uno dei suoi capricci. O quando non sta bene
e tutti si occupano di lei e si dimenticano di me.
Adesso
la mamma ha imparato: prima si dimenticava di più. «Lo so che ho due fiori in
casa» dice «e devo innaffiarli tutti e due».
A volte
mia sorella non mi piace, però forse ogni tanto anch’io non piaccio a lei.
Quando non voglio darle le mie cose, o quando lei vuole che giochiamo insieme e
io invece preferisco andare da un mio amico.
Così
siamo pari, e siamo sempre sorelle.
A volte
la mamma e il papà trattano Mimosa come una bambola.
Stanno
sempre attenti che sia ben coperta, che non prenda freddo, che non si stanchi.
Veramente
fanno così anche con me.
E
mettiti il cappello, e ricordati la sciarpa, e non correre, e non sudare.
«Non
sono mica di vetro» ho detto una volta che non la finivano più.
E
Mimosa: «Non siamo mica di vetro».
La
mamma e il papà sono scoppiati a ridere.
Così
adesso qualche volta possiamo anche non metterci il cappello, e fa lo stesso.
Mia
sorella ha qualcosa che non va dentro il cuore. Una cosa che non funziona bene.
A me pare che il suo cuore sia a postissimo così com’è, perché vuole bene a
tutti e sorride a tutti e vuole fare amicizia con tutti. Forse il suo problema
è che ha il cuore troppo grande.
Comunque
dicono che si può aggiustare.
Quando
sarà più grande dovranno farle un’operazione. I dottori, dico.
Speriamo
che non torni con il cuore troppo piccolo.
Mimosa
non sa fare certe cose, ma altre sì.
Per
esempio è molto brava ad apparecchiare la tavola. Ci mette un sacco di tempo,
ma non è importante: basta cominciare in anticipo.
Tu le
prepari tutte le cose sul piano della cucina e lei sistema le tovagliette
diritte, poi piega in due i tovaglioli di carta e ci mette sopra le posate.
Bisogna
avere pazienza. La mamma dice che a correre non si arriva da nessuna parte.
Dopo
Mimosa batte le mani, perché è contenta di aver fatto una cosa bene fino in
fondo.
I
piatti e i bicchieri sono tutti colorati.
I miei
sono viola, i suoi gialli.
Qualche
volta li scambia: fa apposta per scherzare.
Ieri
Martino, che è il mio compagno di classe più odioso, mi ha preso in giro tutto
il giorno come fa lui, con delle canzoncine stupide che s’inventa e che non
fanno ridere nessuno.
Siccome
io facevo finta di niente alla fine mi ha detto: «Tua sorella non è mica
normale». Poi è corso via perché aveva paura di prenderle.
Tanto
prima o poi lo becco, Martino.
E
comunque ha ragione. Mia sorella non è normale. Lei è speciale. Essere normali
vuol dire essere uguali: come i fili d’erba, come i trifogli in un prato.
Mia
sorella invece è un quadrifoglio.
I
quadrifogli sono rari e sono diversi. Sono rari perché sono diversi. Sono
diversi perché sono rari. Tutti vorrebbero trovarne uno, ma ci riescono in
pochi. I quadrifogli portano fortuna. Noi abbiamo la fortuna di averne uno
tutto nostro: Mimosa, il quadrifoglio.
Mi
piace pensare che il mondo sia un posto dove tutti siamo speciali.
Io sono
speciale a fare i disegni, per esempio.
Il papà
è speciale quando fa la pizza.
La
mamma è speciale quando legge le storie.
Mimosa
è speciale a sorridere.
E’ la
cosa che le viene meglio.
Siamo
tutti diversi e siamo tutti speciali.
In un
prato c’è posto per tutto: i quadrifogli, le farfalle, le coccinelle, le
formiche, i fiori.
Anche
nel mondo dev’essere così.
Il
prossimo anno Mimosa andrà a scuola.
La
mamma e il papà sono un po’ preoccupati perché all’asilo si va per giocare, a
scuola per imparare.
Io
invece non mi preoccupo. Mimosa forse non imparerà le cose che imparano gli
altri bambini; fa un po’ fatica a tenere bene in mano le matite e i colori, per
esempio. Però a colorare è brava, e sceglie sempre degli accostamenti belli.
Il suo
preferito è il viola con il giallo, chissà perché!
A
scuola, Mimosa riempirà i muri della classe di disegni viola e gialli che
mettono allegria.
E le
maestre non potranno non volerle bene.
Quando
guardo Mimosa che gioca da sola con un pupazzetto e ride, allora non penso che
è un quadrifoglio, e nemmeno che è diversa o speciale o quelle cose lì.
Penso
che è mia sorella e basta.
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