Ieri in biblioteca abbiamo trovato un libro carino che racconta della paura del buio di un piccolo gufetto... al mio pastrugno piace molto.
Ecco il primo capitolo: IL BUIO E' ABBAGLIANTE.
Plop era un
piccolo gufo che viveva con la mamma e il papà sulla cima di un albero
altissimo in mezzo a un campo. Plop era cicciottello e piumoso, aveva enormi
occhi rotondi e due gambette stortignaccole. Era, insomma, tale e quale a tutti
gli altri piccoli gufi che siano mai esistiti, tranne che per una cosa.
Plop aveva paura
del buio.
“Tu non puoi avere paura del buio”, gli
disse la mamma. “I gufi non hanno mai paura
del buio.”
“Questo gufo qui
sì”, ribatté Plop.
“Ma i gufi sono
uccelli notturni!” esclamò lei.
Plop si guardò
le dita dei piedi. “Io non voglio essere un uccello notturno”, borbottò.
“Voglio essere un uccello del giorno.”
“Tu sei quello che sei”, replicò con decisione la mamma gufo.
“Appunto”, disse
Plop, “e io sono uno che ha paura del buio.”
“Povera me!”
sospirò mamma gufo. Era chiaro che avrebbe dovuto avere un bel po’ di pazienza.
Chiuse gli occhi e si mise a pensare: doveva trovare un modo per far passare a
Plop la paura.
Plop aspettava.
Sua madre riaprì
gli occhi. “Plop, se tu hai paura del buio è perché non lo conosci. Che cosa ne
sai effettivamente?”
“So che è nero”,
rispose Plop.
“Be’, per
cominciare hai già sbagliato. Il buio può essere d’argento o blu o grigio o di
tanti colori, ma non è quasi mai nero. Che altro sai?”
“Che non mi
piace”, dichiarò Plop. “Non mi piace PER NIENTE.”
“Ma questo non è
sapere”, disse la mamma. “Credo
proprio che tu non sappia un bel niente del buio.”
“Il buio è
schifoso!” gridò Plop.
“Come fai a
dirlo? Non hai mai messo il becco fuori di questo buco dopo il tramonto! Penso
che ti farebbe bene scendere nel mondo e cercare di scoprire qualcosa di più,
prima di decidere.”
“Adesso?” chiese
Plop.
“Adesso”,
rispose sua madre.
Plop sgusciò dal
nido, uscì dondolando sul ramo e fece capolino fuori. Il mondo gli appariva
tanto in basso, lontano lontano …
“Io non sono un
bravo cascatore”, frignò. “Potrei
fare un capitombolo.”
“I tuoi
atterraggi miglioreranno con la pratica”, sentenziò mamma gufo. “Guarda
laggiù”, continuò. “In fondo al bosco c’è un bambino che sta raccogliendo
ramoscelli. Vai a parlargli.”
“Adesso?” chiese
Plop.
“Adesso”,
rispose sua madre.
E così Plop
chiuse gli occhi, respirò profondamente e si staccò dal ramo.
Le sue piccole
ali lo sostennero, ma lui, proprio come aveva detto, non era un buon cascatore.
Fece ben sette capriole prima di fermarsi davanti al bambino.
“Oh!” gridò il
bambino. “Una girandola gigante!”
“Veramente”,
disse la girandola rimettendosi in piedi, “io sono un gufo.”
“Ah, certo”,
riconobbe il bambino chiaramente deluso.
“Be’, è
naturale, non potevi ancora essere un fuoco d’artificio. Papà dice che non
possiamo accenderli prima di sera. Oh, speriamo che faccia buio presto!”
“Tu vuoi il buio?” chiese Plop meravigliato.
“Sì”, rispose il
bambino. “IL BUIO E’ ABBAGLIANTE. E lo sarà soprattutto stasera, quando faremo
i fuochi d’artificio.”
“Che cosa sono i
fuochi d’artificio?” domandò Plop. “I gufi non li fanno mai.”
“No? Che
peccato!” disse il bambino. “Be’, ci sono i razzi, e i dischi volanti, e poi i
vulcani, e la pioggia d’oro, e le stelle filanti, e …”
“Ma che cosa sono?” lo interruppe Plop. “Si
mangiano?”
“Oh, no!” il
bambino scoppiò a ridere. “Papà li accende in fondo alla coda e loro, zuuum, schizzano nell’aria e riempiono
tutto il cielo di stelle colorate … cioè, questi sono i razzi. Sai, io ho il
permesso di reggere le stelle filanti.”
“E che cosa
fanno i vulcani? E la pioggia d’oro?”
“I vulcani
scoppiano in cielo e mandano giù una cascata di stelle. La pioggia d’oro invece
cade a dirotto … insomma, come la pioggia vera.”
“E i dischi
volanti?”
“Ah, quelli sono
super! Ti girano intorno alla testa
facendo un fischio tremendo. Mi piacciono più di tutti.”
“Mi sa che
piacerebbero pure a me”, sospirò Plop.
“Ne sono
sicuro”, disse il bambino. “Senti un po’, tu dove abiti?”
“In cima a
quell’albero, all’ultimo piano. Di sotto ci sono gli scoiattoli.”
“Quell’albero
grosso in mezzo al campo? Be’, da lassù puoi vedere i fuochi d’artificio. Lì
c’è il nostro giardino, è quello con l’altalena. Appena fa scuro guarda fuori.”
“Deve proprio essere buio?” domandò Plop.
“Naturalmente!
Se non è buio i fuochi d’artificio non si vedono. Bene, io adesso devo andare.
Questi rami sono per il falò.”
“Falò?” chiese
Plop. “Che cos’è?”
“Lo saprai stasera
se guarderai fuori. Ciao!”
“Ciao”, salutò
Plop, piegandosi su e giù con un inchino buffissimo.
Osservò il
bambino scappare nel campo e poi, presa una breve rincorsa, spiegò le ali e
svolazzò sopra il suo ramo. Strisciò sulla pancia e infilò la testa dentro al
nido.
“Allora?” lo
interrogò sua madre.
“Il bambino dice
che il buio è abbagliante.”
“E tu che ne
pensi, Plop?”
“Che ancora non
mi piace PER NIENTE”, rispose Plop. “Però voglio vedere i fuochi d’artificio
… se tu mi stai vicino.”
“Ti starò vicino”,
promise la mamma.
“Vengo anch’io”,
disse il papà che si era appena svegliato. “Mi piacciono i fuochi artificiali.”
Quando cominciò
a calare il buio, Plop dondolò fino all’apertura del nido e sbirciò fuori con
cautela.
“Vieni, Plop”,
lo chiamò papà gufo. “Mi pare che stiano cominciando.”
Lui si era già
sistemato su un grosso ramo nel punto più alto dell’albero. “Da qui vedremo
benissimo.”
Plop fece due
passetti coraggiosi fuori del nido.
“Sono qui”,
bisbigliò sua madre, “vieni.”
E insieme, con
le ali che quasi si toccavano, volarono su a raggiungere papà gufo.
Fecero giusto in
tempo: in fondo al giardino le fiamme guizzavano e crepitavano. “Quello
dev’essere il falò!” strillò Plop.
Aveva appena
ripiegato le ali che, zuuum, un razzo
partì sparato e spruzzò una pioggia di stelle verdi. “Oooh!” esclamò Plop,
spalancando gli occhi come due scodelle.
Dal basso
zampillò una fontana di stelle salterine, e poi un’altra e un’altra ancora.
“Oooh!” ripeté Plop.
“Mi sembri un
allocco”, disse suo padre. “Santo cielo! E questo che è?”
Una cosa
sibilante gli girò intorno lasciandosi dietro code di riccioli luminosi. Faceva
un rumore assordante.
“Ah, quello è un
disco volante”, spiegò Plop.
“Davvero? Non ne
avevo mai visto uno”, disse il papà. “Ma tu sai proprio tutto! E che è quel
coso buffo che fischia e saltella su e giù?”
“Dev’essere il
mio amico con una stella filante. Guarda! Quella sono io!”
“Che hai detto?”
chiese il papà.
“La girandola!”
gridò Plop. “Quando sono atterrato, il bambino credeva che io fossi una girandola.
E’ bella, vero?”
Papà gufo guardò
i cerchi luminosi che giravano impazziti. “Devi aver fatto un atterraggio
davvero speciale!” osservò.
("Il gufo che aveva paura del buio" di Jill Tomlinson)
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