Ti ho amato dal primo istante...

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venerdì 18 ottobre 2013

IL BUIO E' ABBAGLIANTE



Ieri in biblioteca abbiamo trovato un libro carino che racconta della paura del buio di un piccolo gufetto... al mio pastrugno piace molto.


Ecco il primo capitolo: IL BUIO E' ABBAGLIANTE.

Plop era un piccolo gufo che viveva con la mamma e il papà sulla cima di un albero altissimo in mezzo a un campo. Plop era cicciottello e piumoso, aveva enormi occhi rotondi e due gambette stortignaccole. Era, insomma, tale e quale a tutti gli altri piccoli gufi che siano mai esistiti, tranne che per una cosa.
Plop aveva paura del buio.
“Tu non puoi avere paura del buio”, gli disse la mamma. “I gufi non hanno mai paura del buio.”
“Questo gufo qui sì”, ribatté Plop.
“Ma i gufi sono uccelli notturni!” esclamò lei.
Plop si guardò le dita dei piedi. “Io non voglio essere un uccello notturno”, borbottò. “Voglio essere un uccello del giorno.”
“Tu sei quello che sei”, replicò con decisione la mamma gufo.
“Appunto”, disse Plop, “e io sono uno che ha paura del buio.”
“Povera me!” sospirò mamma gufo. Era chiaro che avrebbe dovuto avere un bel po’ di pazienza. Chiuse gli occhi e si mise a pensare: doveva trovare un modo per far passare a Plop la paura.
Plop aspettava.
Sua madre riaprì gli occhi. “Plop, se tu hai paura del buio è perché non lo conosci. Che cosa ne sai effettivamente?”
“So che è nero”, rispose Plop.
“Be’, per cominciare hai già sbagliato. Il buio può essere d’argento o blu o grigio o di tanti colori, ma non è quasi mai nero. Che altro sai?”
“Che non mi piace”, dichiarò Plop. “Non mi piace PER NIENTE.”
“Ma questo non è sapere”, disse la mamma. “Credo proprio che tu non sappia un bel niente del buio.”
“Il buio è schifoso!” gridò Plop.
“Come fai a dirlo? Non hai mai messo il becco fuori di questo buco dopo il tramonto! Penso che ti farebbe bene scendere nel mondo e cercare di scoprire qualcosa di più, prima di decidere.”
“Adesso?” chiese Plop.
“Adesso”, rispose sua madre.
Plop sgusciò dal nido, uscì dondolando sul ramo e fece capolino fuori. Il mondo gli appariva tanto in basso, lontano lontano …
“Io non sono un bravo cascatore”, frignò. “Potrei fare un capitombolo.”
“I tuoi atterraggi miglioreranno con la pratica”, sentenziò mamma gufo. “Guarda laggiù”, continuò. “In fondo al bosco c’è un bambino che sta raccogliendo ramoscelli. Vai a parlargli.”
“Adesso?” chiese Plop.
“Adesso”, rispose sua madre.
E così Plop chiuse gli occhi, respirò profondamente e si staccò dal ramo.
Le sue piccole ali lo sostennero, ma lui, proprio come aveva detto, non era un buon cascatore. Fece ben sette capriole prima di fermarsi davanti al bambino.
“Oh!” gridò il bambino. “Una girandola gigante!”
“Veramente”, disse la girandola rimettendosi in piedi, “io sono un gufo.”
“Ah, certo”, riconobbe il bambino chiaramente deluso.
“Be’, è naturale, non potevi ancora essere un fuoco d’artificio. Papà dice che non possiamo accenderli prima di sera. Oh, speriamo che faccia buio presto!”
“Tu vuoi il buio?” chiese Plop meravigliato.
“Sì”, rispose il bambino. “IL BUIO E’ ABBAGLIANTE. E lo sarà soprattutto stasera, quando faremo i fuochi d’artificio.”
“Che cosa sono i fuochi d’artificio?” domandò Plop. “I gufi non li fanno mai.”
“No? Che peccato!” disse il bambino. “Be’, ci sono i razzi, e i dischi volanti, e poi i vulcani, e la pioggia d’oro, e le stelle filanti, e …”
“Ma che cosa sono?” lo interruppe Plop. “Si mangiano?”
“Oh, no!” il bambino scoppiò a ridere. “Papà li accende in fondo alla coda e loro, zuuum, schizzano nell’aria e riempiono tutto il cielo di stelle colorate … cioè, questi sono i razzi. Sai, io ho il permesso di reggere le stelle filanti.”
“E che cosa fanno i vulcani? E la pioggia d’oro?”
“I vulcani scoppiano in cielo e mandano giù una cascata di stelle. La pioggia d’oro invece cade a dirotto … insomma, come la pioggia vera.”
“E i dischi volanti?”
“Ah, quelli sono super! Ti girano intorno alla testa facendo un fischio tremendo. Mi piacciono più di tutti.”
“Mi sa che piacerebbero pure a me”, sospirò Plop.
“Ne sono sicuro”, disse il bambino. “Senti un po’, tu dove abiti?”
“In cima a quell’albero, all’ultimo piano. Di sotto ci sono gli scoiattoli.”
“Quell’albero grosso in mezzo al campo? Be’, da lassù puoi vedere i fuochi d’artificio. Lì c’è il nostro giardino, è quello con l’altalena. Appena fa scuro guarda fuori.”
“Deve proprio essere buio?” domandò Plop.
“Naturalmente! Se non è buio i fuochi d’artificio non si vedono. Bene, io adesso devo andare. Questi rami sono per il falò.”
“Falò?” chiese Plop. “Che cos’è?”
“Lo saprai stasera se guarderai fuori. Ciao!”
“Ciao”, salutò Plop, piegandosi su e giù con un inchino buffissimo.
Osservò il bambino scappare nel campo e poi, presa una breve rincorsa, spiegò le ali e svolazzò sopra il suo ramo. Strisciò sulla pancia e infilò la testa dentro al nido.
“Allora?” lo interrogò sua madre.
“Il bambino dice che il buio è abbagliante.”
“E tu che ne pensi, Plop?”
“Che ancora non mi piace PER NIENTE”, rispose Plop. “Però voglio vedere i fuochi d’artificio …  se tu mi stai vicino.”
“Ti starò vicino”, promise la mamma.
“Vengo anch’io”, disse il papà che si era appena svegliato. “Mi piacciono i fuochi artificiali.”
Quando cominciò a calare il buio, Plop dondolò fino all’apertura del nido e sbirciò fuori con cautela.
“Vieni, Plop”, lo chiamò papà gufo. “Mi pare che stiano cominciando.”
Lui si era già sistemato su un grosso ramo nel punto più alto dell’albero. “Da qui vedremo benissimo.”
Plop fece due passetti coraggiosi fuori del nido.
“Sono qui”, bisbigliò sua madre, “vieni.”
E insieme, con le ali che quasi si toccavano, volarono su a raggiungere papà gufo.
Fecero giusto in tempo: in fondo al giardino le fiamme guizzavano e crepitavano. “Quello dev’essere il falò!” strillò Plop.
Aveva appena ripiegato le ali che, zuuum, un razzo partì sparato e spruzzò una pioggia di stelle verdi. “Oooh!” esclamò Plop, spalancando gli occhi come due scodelle.
Dal basso zampillò una fontana di stelle salterine, e poi un’altra e un’altra ancora. “Oooh!” ripeté Plop.
“Mi sembri un allocco”, disse suo padre. “Santo cielo! E questo che è?”
Una cosa sibilante gli girò intorno lasciandosi dietro code di riccioli luminosi. Faceva un rumore assordante.
“Ah, quello è un disco volante”, spiegò Plop.
“Davvero? Non ne avevo mai visto uno”, disse il papà. “Ma tu sai proprio tutto! E che è quel coso buffo che fischia e saltella su e giù?”
“Dev’essere il mio amico con una stella filante. Guarda! Quella sono io!”
“Che hai detto?” chiese il papà.
“La girandola!” gridò Plop. “Quando sono atterrato, il bambino credeva che io fossi una girandola. E’ bella, vero?”
Papà gufo guardò i cerchi luminosi che giravano impazziti. “Devi aver fatto un atterraggio davvero speciale!” osservò.

("Il gufo che aveva paura del buio" di Jill Tomlinson)

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