“Buono”, disse
Plop dopo aver inghiottito quello che gli aveva portato il papà. “Che cos’era?”
“Un toporagno”,
rispose suo padre.
“Mi piacciono i
toporagni”, dichiarò Plop. “Che c’è dopo?”
“L’intervallo”,
disse mamma gufo. “Fai prendere fiato a tuo padre, poverino.”
“Va bene”,
acconsentì Plop, “però fai presto, papà. I toporagni sono buoni, ma non sono
tanto grossi, vero? Questo qui si sente solo in fondo alla mia pancia. Ha
bisogno di compagnia.”
“Sono convinto
che la tua pancia non abbia fondo”, disse suo padre. “Per quante cose io vi
metta dentro, non è mai piena. Be’, sarà meglio andare a prendere qualcos’altro
da buttare dentro quella buca senza fondo.”
“I papà ci
stanno per questo”, disse Plop. “Perché non vai a caccia anche tu, mammina?
Così ti distrai un po’.”
“Grazie mille”,
rispose mamma gufo, “ma la verità è che in questo modo non dovrai aspettare
troppo tra una portata e l’altra, no? Comunque ci andrò, se a te non importa
rimanere solo.”
“Perché non
vieni con noi?” chiese suo padre. “Così non dovrai aspettare per niente.”
Plop diede uno
sguardo all’oscurità minacciosa. “Ehm … no, grazie, papà”, rispose. “Ho altri ricordamenti da fare.”
“D’accordo”,
disse papà gufo. “Sei pronta, cara?”
I genitori di
Plop presero il volo insieme, fianco a fianco, con le grandi ali bianche che
quasi si toccavano. Plop si accoccolò fuori del nido a guardarli allontanarsi
nelle tenebre finché non si confusero l’una nell’altro e poi svanirono del
tutto.
Plop li seguì a
lungo: stavano spuntando le stelle e al loro chiarore lui riusciva a vedere
molto lontano con i suoi occhi di gufo.
Si ricordò
quello che aveva detto sua madre, che il buio non è mai nero. Quella notte non
era nero di sicuro, ma piuttosto di un grigio lattiginoso, e il cielo era tutto
punteggiato di minuscole stelle.
“Accidenti!”
esclamò una voce proprio lì sotto.
Plop sobbalzò e
sbirciò giù attraverso le foglie. C’era un signore con uno strano aggeggio
piantato davanti, che scrutava accigliato la nuvola che aveva nascosto la luna.
Che stava facendo?
Plop chiuse gli
occhi, respirò profondamente e si staccò dal suo ramo. Volò nell’aria come una
freccia bianca e si posò con un morbido tonfo.
“Per tutto il
firmamento!” gridò il signore. “Una stella cadente!”
“Veramente, io
sono un gufo” disse la stella cadente. Cos’è quell’affare?”
“Un telescopio”,
rispose il signore. “Sei un gufo, hai detto? Bene, bene. Credevo che fossi una
meteora. Come va?”
“Come va che
cosa?”
“Oh, intendevo
dire, come stai?”
“Affamato”,
rispose Plop. “Ma che hai detto, prima? Che ero una stella cadente o una
meteora?”
“La meteora è una stella cadente.”
“Ah!” disse
Plop. “E a che serve il televisore?”
“Telescopio … Serve a guardare certe
cose, come le stelle e i pianeti.”
“Oooh! Posso
dare un’occhiata, per favore?”
“Certo”, disse
il signore, “Ma temo che non sia la notte adatta: ci sono troppe nuvole.”
“Il buio non mi
piace molto”, confessò Plop.
“Davvero?”
chiese il signore. “Che strano! Non sai quello che perdi. IL BUIO E’ MAGNIFICO.”
“Spiegami”,
pregò Plop, “ti prego.”
“Farò di più: te
lo mostrerò”, disse il signore. “Vieni qui e metti l’occhio … no, no! Da questa parte!”
Plop era saltato
su, era arrivato in cima al telescopio e si era messo a guardare dalla parte
sbagliata, sbirciando tra i piedi.
“Non riesco a
vedere nulla”, brontolò.
“Che scoperta!”
disse il signore. “Prova da quest’altra parte.”
Plop tornò
indietro dondolando sul telescopio, e il signore lo tenne sul polso in modo che
il suo occhio fosse all’altezza della lente.
“Adesso riesci a
vedere qualcosa?”
“Oh, sì!”
esclamò Plop. “Sembra tutto più vicino, vero? Vedo una stella luminosissima;
dev’essere molto vicina.”
“Sì … appena
qualche trilione di chilometri, ecco tutto.”
“Trilioni!”
disse Plop a bocca aperta.
“Proprio così. Quella
stella è Sirio, ossia il Cane Maggiore. Hai ragione: è una delle più vicine.”
Evidentemente i
trilioni erano bazzecole per il signore con il telescopio.
“Perché si
chiama Cane Maggiore?” chiese Plop.
“Perché
appartiene ad Orione, che è il Grande Cacciatore. Guarda, eccolo lì! Riesci a
vedere quelle tre stelle una vicina all’altra?”
Plop allontanò
la testa dal telescopio e sbatté gli occhi. “Posso cambiare occhio?” chiese. “Questo
si sta stancando.”
“Sì, certo.
Adesso vedi se riesci a trovare il Grande Cacciatore.”
“Hai detto che
ha tre stelle una vicina all’altra?”
“Sì, sono la
Cintura del Cacciatore.”
“E sotto ci sono
altre stelle più fioche?”
“Sì … sono la
sua spada.”
“Allora l’ho
trovato!” gridò Plop. “Ho trovato il Grande Cacciatore Orione! Oh, non sapevo
che le stelle avessero un nome. Fammene vedere qualche altra.”
“D’accordo,
vediamo se riusciamo a trovare la Stella Polare, va bene? Reggiti forte … devo
girare il telescopio.”
Plop si mise a
cavalcioni del telescopio, poi il signore gli mostrò come trovare il Carro e le
due stelle che indicano la Stella Polare.
“Anche questa è
luminosa parecchio, vero?” disse Plop.
“Eccome! Adesso
capirai che non importa se ti perdi, perché quella stella sta esattamente sopra
il Polo Nord, e così tu puoi sapere sempre dov’è il nord.”
“E’ importante?”
chiese Plop.
“E’
importantissimo”, rispose il signore. “Santo cielo! E questo cos’è?”
Uno strano,
lungo grido lacerò la pace della notte.
“Povero me, mi
sa che è il mio papà”, disse Plop. Guardarono in alto; una spettrale figura
bianca volteggiava sopra di loro. “Sì, è lui. Sarà meglio fargli sapere che
sono qui. Iiiik!”
“Mamma mia!”
sobbalzò il signore. “La prossima volta avvertimi prima. Sai, mi ero chiesto
spesso che razza di suono fosse; d’ora in poi saprò che siete soltanto tu o tuo
padre.”
“Oppure mia
madre”, disse Plop. “Adesso devo proprio andare. Ti ringrazio tantissimo di
avermi spiegato le stelle.” Saltò in piedi sul telescopio e fece il suo buffo
inchino. “Ciao!”
“Arrivederci,
signorino gufo, e continua a scrutare le stelle!”
Plop volò a
raggiungere suo padre e insieme atterrarono sul loro ramo.
“Allora?” chiese
la mamma.
“Il signore con
il telescopio dice che il buio è magnifico, e mi ha chiamato ‘signorino gufo’,
e …”
“E tu che ne
pensi, Plop?”
“Io so quello
che penso io”, intervenne papà gufo
senza dare a Plop il tempo di rispondere. “Io penso che il signorino gufo ha
avuto una bella faccia tosta a spedire i suoi poveri genitori alla ricerca
urgentissima di cibo, per poi non preoccuparsi nemmeno di farsi trovare a casa
quando loro ritornano. Credevo che stessi morendo di fame!”
“Io sto morendo di fame”, disse Plop. “Ma lo
sapevi che la stella Sirio è lontana trilioni di chilometri e …”
“Lo vuoi o non
lo vuoi il tuo pranzo?” lo interruppe papà gufo.
“Sicuro!”
esclamò Plop. Trangugiò quello che aveva portato suo padre, poi trangugiò
quello che aveva portato sua madre, e non solo non chiese che cosa fosse, ma
non disse neppure: “Che c’è dopo?”
Invece, quello
che disse fu: “Papà, lo sai come si trova la Stella Polare? Te lo spiego?”
“Senz’altro”,
rispose papà gufo dando una strizzatina d’occhio a sua moglie. “Qualunque cosa
che riesca a distoglierti la mente dalla pancia, di sicuro vale la pena di
essere vista!”
Plop non volle
andare a dormire, e non ci mandò neppure i suoi genitori, finché non fu
completamente sicuro che fossero capaci di riconoscere tutte le stelle che gli
aveva mostrato il signore col telescopio. Alle quattro del mattino era ancora
intento a spiegare.
“Adesso hai
capito bene dov’è la Stella Polare?” chiese a sua madre, che a quanto pare
stava facendo un po’ di confusione.
“Credo di sì,
tesoro”, sbadigliò mamma gufo. “Bisogna trovare quella cosa che sembra un carro
ma che invece è un grosso orso … o è un orso piccolo? E la Stella Polare è …
vediamo … vicino alla Stella del Nord.”
“La Stella
Polare è la Stella del Nord”, disse
Plop spazientito, “e la indicano le due stelle davanti al Carro. Tu non ti stai
sforzando per niente. Non sei stata a sentire!”
“Ma sì”, replicò
papà gufo. “Siamo stati a sentire per ore e ore. Forse la mamma è solo un po’
stanca…”
“Ma voi dovete sapere come si trova la Stella
Polare”, esclamò Plop, “altrimenti potreste perdervi.”
“Io non mi perdo
mai”, disse suo padre indignato, “e nemmeno tua madre. Adesso fai il bravo ed
entra nel nido. Vedrò se riesco a trovarti qualcosa per cena. Per questa volta
puoi mangiare a letto, che ne dici?”
“Va bene”,
rispose Plop. “Ma io sono convinto davvero che dovreste conoscere queste cose.
Mi toccherà spiegarvele ancora domani.”
Papà gufo guardò
terrorizzato sua moglie. “Oh, no! Pure domani notte no! Non potrei sopportarlo.”
“Non
prendertela, caro”, lo consolò mamma gufo. “Così hai fatto meno caccia del
solito.”
“Non sono mica
sicuro che tutto questo scrutare le stelle sia meno faticoso che riempire
quella buca senza fondo!” si lamentò papà gufo.
“Ah, papà!” Plop
mise la testa fuori del nido. “Ti ho raccontato di Orione? Orione è il Grande
Cacciatore e … oh, se n’è andato!”
“Sì, tesoro,
deve finire la caccia prima che venga la luce”, disse sua madre. “Adesso torna
dentro e bada a lavarti bene le orecchie. Tra un minuto verrò a controllare.”
Plop cenò a
letto e poi dormì per tutto il giorno, come un vero gufo notturno.
("Il gufo che aveva paura del buio" di Jill Tomlinson)
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