Quella sera,
quando si fece scuro, papà gufo invitò di nuovo Plop ad andare a caccia con
lui. “Vieni? E’ una notte stupenda.”
“Ehm, stavolta
no, grazie papà”, disse Plop, accoccolato all’ingresso del nido. “Ho da fare.”
“Non si
direbbe”, osservò suo padre. “Che stai facendo?”
“Sto ricordando”, rispose Plop.
“Vedo”, disse
papà gufo. “In questo caso dovrò andare da solo.” E si slanciò nell’oscurità
come un grande, silenzioso jet.
“Che stai
ricordando, Plop?” gli chiese la mamma incuriosita.
“Quello che ha
detto la vecchia signora; che il buio è simpatico. Lei dice che al buio non è
mai sola perché ha tante cose da ricordare.”
“Allora quasi
quasi approfitterei di questo momento per uscire un po’ a caccia”, disse mamma
gufo.
“Non vorrai
lasciarmi!” esclamò Plop.
“Non starò via a
lungo. Vedrò di portarti qualcosa di buono.”
“Ma io resterò
solo!”
“Non è vero.
Prova a ricordare, come ha detto la vecchia signora.”
Plop guardò sua
madre fluttuare nella notte come una piuma bianca. L’oscurità sembrava venirgli
incontro e avvolgerlo nelle sue braccia.
“Il buio è
simpatico”, mormorò Plop tra sé e sé, “il buio è simpatico. Oh, povero me, non
mi viene in mente nulla!” Chiuse gli occhi e provò a ricordare qualcosa. I
fuochi d’artificio! Ecco a che cosa avrebbe ripensato! I fuochi gli erano
piaciuti, con tutte quelle luci colorate che salivano dal falò … macchie,
strisce, spruzzi di luce accesi nelle tenebre … Se ci pensava, si sentiva
ancora gli occhi pieni di stelle.
Delle voci
allegre ai piedi dell’albero distolsero Plop dai suoi ricordi. Aprì gli occhi e
sbirciò tra le foglie. C’era gente che correva qua e là nel campo, e da un
mucchio di rami guizzavano lingue di fuoco. Un altro falò! Voleva dire che ci
sarebbero stati ancora i fuochi d’artificio? Eccitato, Plop si mise a guardare.
Adesso riusciva a vedere bene quelle persone: erano ragazzi … ragazzi grandi in
pantaloncini corti. Stavano raccogliendo altra legna per il fuoco.
A un tratto
sparirono tutti nel bosco gridando. Tutti meno uno, cioè.
Un ragazzo era
rimasto accanto al fuoco, seduto su un tronco.
Plop si scordò
di avere paura del buio. Doveva scoprire che cosa stava succedendo. Così chiuse
gli occhi, respirò profondamente e si staccò dal suo ramo.
Il fondo era più
vicino di quanto si aspettasse, e Plop atterrò con un gran tonfo.
“Accipicchia!”
esclamò il ragazzo seduto sul tronco. “Un budino di crema! Chi l’ha buttato?”
“Non mi ha
buttato nessuno … sono venuto per conto mio”, protestò il budino, “e poi,
veramente, io sono un gufo.”
“Ah, è così?”,
disse il ragazzo. “Sei caduto dal nido?”
Plop si drizzò
in tutta la sua altezza. “Non sono caduto … ho volato! Non sono un bravo
cascatore, ecco tutto. Volevo vedere se hai intenzione di fare i fuochi d’artificio.”
“Fuochi d’artificio?”
chiese il ragazzo. “No davvero. Come ti è venuto in mente?”
“Be’, per via
del falò”, rispose Plop.
“Che c’entra!”
esclamò il ragazzo. “Questo è un fuoco da campo, e a me tocca sorvegliarlo finché
non tornano gli altri.”
“Dove sono
andati?” domandò Plop.
“A giocare al
buio, beati loro!”
“Ti piace giocare al buio?” chiese Plop.
“Certo! E’ super”, disse il ragazzo. “IL BUIO E’
DIVERTENTE. Tutti i giochi normali, come il nascondino, diventano divertenti se
li fai al buio. Quello che preferisco è il gioco dove uno rimane alla base con
una torcia in mano, e quando sente o vede una cosa qualsiasi che si muove, la
illumina. Gli altri devono riuscire a strisciare fino alla base senza essere
scoperti. E’ bellissimo!”
Dal bosco si udì
un gran trambusto e poi un grido: “Ti ho preso!”
“Ecco, ci stanno
giocando adesso”, spiegò il ragazzo. “Il povero Tommy si fa sempre prendere per
primo. Ha i piedi talmente grossi! Sai, per non farsi scoprire bisogna
strisciare come un’ombra. Uffa! Doveva proprio toccare a me rimanere a
sorvegliare il fuoco!”
“A che serve il
fuoco?” chiese Plop.
“Be’, noi ci
cuociamo le patate, ci scaldiamo la cioccolata … facciamo anche i cori seduti
intorno al fucoo.”
“E perché?”
“Ma perché è
divertente, ecco perché. E poi i boy-scout devono sempre avere un fuoco da
campo.”
“E’ questo che
sei? Un boy-scout?”
“Certo,
intelligentone, altrimenti non sarei qui, no? Aspetta, devo mettere qualche
altro pezzo di legno nel fuoco.”
Plop osservò il
ragazzo che ravvivava le fiamme.
“Pensi che io
potrei … potrei diventare un boy-scout?” chiese.
“Ne dubito”,
rispose il ragazzo. “Sei un po’ troppo … sotto peso. Forse potresti essere un ‘lupetto’,
ma devi avere almeno otto anni.”
“Io ho otto
settimane”, mormorò Plop.
“Allora pare che
dovrai aspettare un bel pezzo, vero?” disse il boy-scout. “Ad ogni modo”,
ridacchiò, “in divisa ti scambierebbero per un ufo!”
Plop sembrava
così deluso che il ragazzo lo consolò: “Non te la prendere. Stasera puoi
rimanere per i cori.”
“Magari!” gridò
Plop. “Sarebbe … super!”
“Però faresti
bene ad andare prima a casa per chiedere
il permesso a tua madre.”
Così Plop
svolazzò nel nido, dove trovò ad aspettarlo la mamma.
“Dove sei stato?”
gli chiese lei, con il tono burbero che hanno tutte le mamme quando si sono
preoccupate molto.
“Sono stato a
parlare con un boy-scout, e lui dice che il buio è divertente, e dice pure che
posso rimanere per il fuoco, perciò posso, mamma, vero?”
“Va bene, va
bene, d’accordo” rispose sua madre.
Così per una
notte Plop fu un vero boy-scout. Si appollaiò sulla spalla del suo nuovo amico
e venne presentato a tutti gli altri. Gli fecero un sacco di feste e Plop si
divertì un mondo. La cioccolata non gli piacque, però assaggiò una patatina; il
suo amico vi soffiò sopra per raffreddarla, perché sapeva che i gufi ingoiano
il cibo tutto intero, e una patata bollente nella pancia sarebbe stata
piuttosto spiacevole per Plop!
Poi gli scout si
strinsero intorno al fuoco e cantarono a più non posso mentre le scintille
ballavano. Intonarono canzoni allegre e canzoni tristi, canzoni lunghe e
canzoni corte. Plop non cantò perché preferiva ascoltare, ma di quando in
quando si eccitava e si metteva a svolazzare sulle teste dei ragazzi strillando
“Iiiik! Iiiik!” e facendo ridere tutti.
Cantarono finché
il fuoco non si ridusse a un tappeto di brace rossa; al suo riflesso Plop
sembrava tutto dipinto di rosa.
Finalmente fu l’ora
di tornare a casa, per i ragazzi e per Plop. Lui disse ciao a tutti, si inchinò
e si inchinò ad essere indolenzito, poi spiegò le ali e volò sul suo ramo.
“Allora?” gli
chiese la madre.
“Te l’ho già
detto. Il boy-scout dice che il buio è divertente.”
“E tu che ne
pensi, Plop?”
“Che ancora non
mi piace PER NIENTE … però i fuochi da campo sono super! Mi hai portato una
bella sorpresa?”
“Certo.”
Plop la mandò
giù in un solo boccone.
“Buono”, disse. “Che
cos’era?”
“Una cavalletta.”
“Mi piacciono le
cavallette”, dichiarò Plop. “Che c’è dopo?”
("Il gufo che aveva paura del buio" di Jill Tomlinson)
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