Quella notte
Plop chiese: “Che c’è dopo?” per un mucchio di volte. Si mise sulla soglia del
nido russando a più non posso; ma non dormiva, aveva soltanto fame. I gufi russano
sempre quando hanno fame, non lo sapevate?
“Oh, tesoro,
sarò proprio contenta quando potrai cacciare per conto tuo”, sospirò mamma gufo
esausta, dopo che Plop ebbe trangugiato il suo settimo pranzo … o era l’ottavo?
“Che c’è dopo?”
chiese Plop.
“Un bel niente”,
rispose sua madre. “Non è possibile che tu abbia ancora spazio per
qualcos’altro.”
“Invece ce
l’ho”, disse Plop. “Lo spazio dei topi è pieno zeppo, ma quello delle
cavallette ancora no.”
“Questo è
troppo!” esclamò mamma gufo, e si sdraiò per dormire.
Con un battito
d’ali papà gufo piombò nel nido e gettò qualcosa ai piedi di Plop, che
l’inghiottì in un boccone.
Era una cosa
liscia e saporita.
“Buono”, disse
Plop. “Che cos’era?”
“Un pesce”,
rispose suo padre.
“Mi piacciono i
pesci”, dichiarò Plop. “Che c’è dopo?”
“Il letto!”
disse papà gufo. Poi dette a sua moglie il bacio della buona notte, ossia del
buon giorno, e si mise a dormire.
Plop russò
speranzoso per un paio di volte, ma era ormai chiaro che il banchetto era
finito. Allora rientrò dondolando nel nido e ben presto si addormentò.
Quando si
svegliò era pomeriggio inoltrato. Plop uscì sul ramo e si guardò intorno. I
suoi genitori stavano ancora a letto, immobili come due statue, ma di sotto gli
scoiattoli si rincorrevano su e giù per il tronco facendo sventolare le code
all’aria. Plop rimase per un po’ ad osservarli. Uno di loro si mise a correre
lungo il ramo proprio sotto il suo becco, poi si fermò di botto e prese a
lavarsi la faccia. Lo scoiattolo non sapeva che Plop fosse lì … dopo tutto, i
gufi dovrebbero dormire di giorno.
Plop non seppe resistere; si chinò tra le foglie ed emise il suo più potente “Iiiik!”
Lo scoiattolo
saltò in aria come un pupazzo a molla, con le orecchie tremanti e gli occhi
impietriti come due biglie, poi guizzò giù per il tronco e sparì nella sua tana.
Plop saltellò divertito. Ma naturalmente l’aveva fatto di nuovo: aveva
svegliato sua madre.
“Plop!”
“Sì, mammina?”
“Per favore,
tesoro, vai a vedere se scopri qualche altra cosa sul buio.”
“Adesso?” chiese
Plop.
“Adesso”,
rispose sua madre. “Va’ a chiedere a quella bambina che cosa ne pensa.”
“Quale bambina?”
“Quella seduta
laggiù … quella con la coda di cavallo.”
“Le bambine non
hanno la coda.”
“Questa sì.
Scendi subito, altrimenti non la troverai più.”
Così Plop chiuse
gli occhi, respirò profondamente e si staccò dal suo ramo.
L’atterraggio
andò un po’ meglio del solito. Plop rimbalzò solo tre volte e rotolò dolcemente
ai piedi della bambina.
“Oh! Un gomitolo
di lana!” gridò la bambina.
“Veramente io
sono un gufo”, disse il gomitolo.
“Un gufo? Ne sei
sicuro?” chiese lei, e gli puntò un dito sporco nella pancia piumosa per
punzecchiarlo.
“Sicurissimo”,
rispose Plop tirandosi indietro e rizzandosi in tutta la sua altezza.
“Ehi, non c’è
mica bisogno di offendersi”, disse la bambina. “Se vai in giro rimbalzando in
quel modo devi aspettartelo di essere scambiato per una palla. Io non avevo mai
incontrato un gufo, prima di te. Tu fai uuuh-uuuuh?”
“No”, rispose
Plop.
“Allora non puoi
essere un gufo vero”, disse la bambina. “Tutti i gufi veri fanno uuuh-uuuuh!”
“Io sono un gufo vero”, gridò Plop
arrabbiato. “E i gufi fanno iiik,
così!”
“No, non farlo!”
implorò la bambina mettendosi le mani sulle orecchie.
“Be’, non dovevi
provocarmi”, disse Plop. “Ad ogni modo, tu
non puoi essere una ragazza vera.”
“Che cosa hai
detto?” chiese la bambina allontanando le mani dalle orecchie.
“Ho detto che
non sei una vera ragazza; le ragazze non hanno la coda! Gli scoiattoli hanno la
coda, i conigli hanno la coda, i topi hanno …”
“Questa è una coda di cavallo”, lo interruppe la
bambina. “E’ la più lunga della classe”, aggiunse con orgoglio.
“Ma perché vuoi
sembrare un cavallo?” chiese Plop.
“Perché … perché
va di moda”, rispose la bambina. “Ma tu non sai proprio nulla?”
“Non molto”,
ammise Plop. “Mia madre dice che se io ho paura del buio è perché non ne so
nulla. A te piace il buio?”
La bambina
guardò Plop meravigliata. “Certo”, disse. “Il buio ci deve essere. IL BUIO E’
UTILE.”
“Il buio e tutil … come hai detto?”
“E’ utile. Ci
serve. Non possiamo farne a meno.”
“Io potrei farne
a meno”, borbottò Plop. “Potrei farne a meno benissimo.”
“Ma Babbo Natale
non verrebbe più!” esclamò la bambina. “E il giorno di Natale troveresti la
calza vuota.” *
“Io non porto le
calze”, disse Plop. “E poi chi è Babbo Natale?”
“Babbo Natale è
un vecchio grasso e allegro con la barba bianca; porta un vestito rosso col
cappuccio e gli stivali neri.”
“Va di moda?”
chiese Plop.
“No”, rispose la
bambina. “Lui è vestito sempre così nelle figure. Per quanto, io non riesco a
capire come mai tutti lo conoscono, dal momento che nessuno l’ha mai visto.”
“E come mai?”
domandò Plop.
“E’ quello che
cercavo di spiegarti: Babbo Natale viene soltanto
quando è buio. Arriva a mezzanotte correndo nel cielo su una slitta tirata
da renne.”
“Renne?” chiese
Plop. “Nel cielo?”
“Sono una specie
di cervi magici”, spiegò la bambina. “Tutto quello che fa Babbo Natale è
magico, se no come potrebbe andare da tutti i bambini in una notte sola e
portare nel sacco i giocattoli per tutti quanti?”
“Non mi avevi
detto niente del sacco.”
“Lui ha un sacco
pieno di giocattoli e li mette nelle calze dei bambini.”
“Nelle calze?”
chiese Plop. “Con tutti i piedi dentro? Non può esserci tanto spazio!”
“Ma no, che hai
capito? Noi appendiamo le calze vuote ai piedi del letto per fargliele riempire.
Io di solito ne prendo in prestito una della mamma, ma l’anno scorso ho appeso
la mia calzamaglia.”
“E lui l’ha
riempita?” sussurrò Plop senza fiato.
“No … solo una
gamba, però nell’altra ci ha messo un topolino di zucchero.”
“Io avrei preferito
un topo vero”, disse Plop.
“Veramente pure
io”, confessò la bambina. “Desideravo tanto un topolino bianco, ma la mamma
dice che se in casa entra un topo, esce lei … e forse Babbo Natale non ha
voluto che io rimanessi orfana.”
Plop stava
pensando. “Non mi sembra che i gufi abbiano un Babbo Natale … e poi io non ce l’ho
una calza da appendere.”
“E’ una
vergogna!” esclamò la bambina. “Tutti dovrebbero avere un Babbo Natale. E’ così
emozionante svegliarsi la mattina e
andare a toccare i bozzi della calza per cercare di indovinare quello che c’è
dentro!”
“Basta!”
supplicò Plop. “Come vorrei che venisse da me!”
“Chiudi gli
occhi”, disse la bambina. “Forza, se li chiudi avrai una sorpresa.”
Plop chiuse gli
occhi e aspettò.
La bambina si
tolse svelta svelta lo stivaletto e si sfilò una calza; ne portava un paio
sopra l’altro perché gli stivali le stavano un po’ grandi.
“Apri gli occhi!”
ordinò; teneva la calza in mano e si reggeva su un piede solo mentre cercava di
infilare l’altro nello stivale.
Plop aprì gli
occhi … e li richiuse subito. Non riusciva a credere a quello che aveva visto.
“Non la vuoi?”
chiese la bambina. “Lo so che ha qualche buco, ma sono sicura che Babbo Natale
non ci farà caso.”
“Oh, grazie”, disse
Plop prendendo la calza con il becco e mettendosela nel piede, “grazie mille.
Vado subito ad appenderla.”
“Ancora no!”
rise la bambina. “Dovrai aspettare la vigilia di Natale. Bene, adesso io devo
andare; dev’essere quasi ora di merenda. Ciao! Spero proprio che Babbo Natale
venga anche da te.”
“Ciao”, salutò
Plop facendo il suo buffo inchino dondolante. “Sei davvero simpatica, sai, e …
sei una ragazza vera.”
“E tu sai fare
un bellissimo iiik”, disse la
bambina. “Voglio impararlo anch’io, così metterò paura a mio fratello.” E corse
via.
Plop udì a lungo
il suo iiik che si allontanava nel
campo. Poi raccolse la calza col becco e volò sopra il suo ramo.
“Allora?” chiese
mamma gufo.
“Na faffina fife
…” prese a dire Plop con la calza in bocca; poi la posò e ricominciò da capo. “La
bambina dice che il buio è utile, perché arriva Babbo Natale.”
“E tu che ne
pensi, Plop?”
“Che ancora non
mi piace PER NIENTE … però la vigilia di Natale voglio appendere questa calza.”
Così Plop la
prese e con molta cura la mise vicino al letto in attesa del Natale.
*In molti Paesi, come ad
esempio l’Inghilterra, i bambini la vigilia di Natale appendono le loro calze
per ricevere doni e dolciumi.
("Il gufo che aveva paura del buio" di Jill Tomlinson)
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