Quando si spense
anche l’ultimissimo fuoco d’artificio, papà gufo disse a Plop: “Bene, adesso
devo andare a caccia. Ti andrebbe di venire?”
Plop guardò le
tenebre che lo circondavano: sembravano perfino più nere dopo le luci dei
fuochi. “Ehm … stavolta no, grazie”, rispose. “Non ci vedo bene … ho gli occhi
pieni di stelle.”
“Ho capito”,
disse suo padre. “Vorrà dire che mi toccherà andare da solo.” E fluttuò
nell’oscurità, come una grande farfalla bianca.
Plop guardò
afflitto la mamma. “Io volevo andare
con lui. Io voglio che il buio mi
piaccia. E’ solo che … non ci riesco.”
“Ci riuscirai,
Plop. Ne sono assolutamente sicura.”
“Io non ne sono
sicuro per niente”, borbottò Plop.
“Be’, io sì”,
replicò sua madre. “Adesso andiamo. Devi riposare; sei sveglio da stamattina.”
Così Plop fece
il suo sonnellino di mezzanotte, e quando si svegliò vide che suo padre era
tornato con il pranzo. Plop lo mandò giù in un solo boccone. “Buono! Che
cos’era?”
“Un topo”, disse
papà gufo.
“Mi piacciono i
topi”, dichiarò Plop. “Che c’è dopo?”
“Non ne ho
idea”rispose suo padre. “Adesso tocca alla mamma. Dovrai aspettare che torni
lei.”
Plop non era mai
sazio. Per tutta la notte sua madre e
suo padre furono occupatissimi a portargli da mangiare, e quando spuntò il
giorno erano talmente stanchi che non vedevano l’ora di andare a dormire. “A
letto, Plop!” disse papà gufo.
“Non voglio
andare a letto”, protestò Plop. “Voglio essere un uccello del giorno.”
“Be’, io sono un uccello della notte”, disse
la mamma. “E se adesso tuo padre ed io non ci facciamo un bel sonno, tu stasera
non avrai niente da mangiare.”
Queste parole
piacquero poco a Plop, così si sdraiò lungo disteso … be’, lungo per quanto
possibile … e cercò di addormentarsi.
Dormì quasi
tutta la mattina, ma poi si svegliò pesante come un sacco pieno di fagioli o,
per meglio dire, un sacco pieno di topi, e non riuscì più a riprendere sonno.
Prese a
saltellare su e giù sul ramo, dove i suoi poveri genitori stavano tentando di
riposare; si esercitò a rimanere su un piede solo, a spiccare il volo, ad atterrare,
e a fare tutte le cose importanti che un piccolo gufo deve imparare. Poi gli
venne in mente di provare sul serio la propria voce e cercò di gridare come un
gufo grande: “Iiiik! Iiiik!”
Sembrava il
verso che fa un gatto quando gli pestate per sbaglio la coda. Plop ne fu molto
soddisfatto; mamma gufo un po’ meno. Aprì a metà un occhio sonnacchioso e
mormorò: “Plop, tesoro, non ti piacerebbe scendere nel mondo ancora una volta
per scoprire qualche altra cosa sul buio?”
“Adesso?” chiese
Plop.
“Adesso”, rispose
sua madre.
“Non vuoi prima
sentire il mio grido? Mi viene proprio bene.”
“L’ho sentito”,
disse mamma gufo. “Guarda, c’è una vecchia signora seduta su una sedia a sdraio
in quel giardino laggiù. Vai a tormentarla … voglio dire, vai a scoprire che
cosa pensa del buio.”
E così Plop
chiuse gli occhi, respirò profondamente e si staccò dal suo ramo. Ma non riuscì
a far funzionare in tempo le ali; precipitò sempre più veloce e alla fine
piombò ai piedi della vecchia signora con un tonfo che fece tremare la terra.
“Perbacco!”
gridò la signora. “Un fulmine!”
“Ve … ve …
veramente, io sono un gufo”, disse il fulmine appena ebbe ripreso fiato.
“Sul serio?”
chiese la vecchia signora guardando Plop al di sopra degli occhiali. “Scusami
tanto, ma non ho più gli occhi buoni come una volta. Che bel pensierino hai
avuto di … ehm … farmi un’improvvisata.”
“Per la verità”,
confessò Plop, “non è stato esattamente un pensierino. Sono venuto a domandarti
una cosa.”
“Davvero? E che
cosa?”
“Ecco, io volevo
sapere che pensi del buio. Vedi, mi mette un po’ di paura, e questo è piuttosto
imbarazzante per un gufo. A quanto pare noi siamo uccelli notturni.”
“E’ un bel
problema” disse la vecchia signora. “Hai provato con le carote?”
“Come?”
“Non si dice ‘come?’.
Quando non capisci, devi dire ‘prego?’. Ti ho chiesto se hai provato con le
carote. Sono straordinarie, le carote.”
“Non mi pare che
i gufi mangino le carote …”
“Oh, che
peccato. Sono convinta che le carote sono utilissime per vedere nel buio.”
“Ma io so vedere al buio!” esclamò Plop. “Riesco
a vedere per chilometri e chilometri.”
“Adesso non fare
il fanatico. Non sta bene che i piccoli siano fanatici.”
La vecchia
signora si sporse in avanti e scrutò Plop da vicino. “Tu sei un maschietto,
vero? Di questi tempi è così difficile a dirsi. Sembrate tutti uguali!”
“Sì”, rispose
Plop, “sono un gufo maschio e vorrei tanto andare a caccia con il mio papà, ma
lui ci va sempre quando è buio, e io ho paura.”
“Che strano”,
osservò la signora. “Sai, io amo il buio. Vedrai che l’amerai anche tu quando
avrai la mia età. IL BUIO E’ SIMPATICO.”
“Spiegami perché”,
disse Plop.
“Per favore”, disse la vecchia signora. “Sono
solo due paroline, ma fanno miracoli.”
“Spiegami
perché, per favore”, ubbidì Plop.
“Dunque”,
cominciò la vecchia signora. “Il buio sa essere simpatico in un mucchio di
modi. Il buio nasconde le cose … come i mobili sciupati e i buchi nel tappeto.
Mi nasconde le rughe e le mani bozzute; al buio riesco a dimenticarmi di essere
vecchia.”
“Ai gufi non
vengono le rughe”, disse Plop. “Noi diventiamo solo un po’ spelacchiati.”
“Non
interrompermi!” esclamò la signora. “E’ maleducazione interrompere. Dov’ero
rimasta? Ah, sì … il buio è molto simpatico quando si è vecchi. Al buio posso
stare seduta a ricordare. Ricordo il
mio caro marito e i miei figli da piccoli e tutte le belle giornate passate
insieme. Al buio non sono mai sola.”
“Io ancora non
ho molte cose da ricordare”, disse Plop. “Sono appena arrivato!”
“Il buio è anche
tranquillo”, continuò la vecchia signora guardando Plop con aria di rimprovero.
“Il buio è riposante … al contrario di un certo gufetto di mia conoscenza.”
“Sarei io?”
chiese Plop.
“Proprio tu”,
rispose la signora. “Quando ero piccola io, i bambini si vedevano ma non si
sentivano.”
“Io non sono un
bambino”, protestò Plop. “Sono un gufo!”
“E’ lo stesso”,
disse la vecchia signora. “Tu mi ricordi tanto mio figlio Billy quando aveva
presso a poco quattro anni. Anche lui aveva le gambe stortignaccole.”
“Ho le gambe
stortignaccole?” chiese Plop sbirciando in giù di traverso. “Non riesco a
vederle … c’è la pancia di mezzo.”
“Proprio così,
ma vedrai che si raddrizzeranno. A Billy è successo”, disse la vecchia signora.
“Bene, adesso vado a casa a riposare un po’.”
“Credevo che
solo i gufi dormissero di giorno”, esclamò sorpreso Plop. “Anche tu sei un
uccello notturno?”
La signora
sorrise. “No, sono soltanto un uccello vecchio. Un vecchio uccello molto molto
stanco.”
“Allora ciao”,
disse Plop. “Io devo andare. Grazie per quello che mi hai raccontato del buio.”
Svolazzò sulla
spalla della vecchia signora e le becchettò delicatamente l’orecchio. Lei
rimase incantata. “Oh, il bacetto di un gufo! Che carino!”
Plop saltò giù e
fece il suo buffo inchino.
“Che galanteria!”
disse la vecchia signora.
Plop prese la
rincorsa, spiegò le ali e volò sopra il suo ramo.
“Allora?” gli
chiese la mamma.
“La vecchia
signora dice che il buio è simpatico.”
“E tu che ne
pensi, Plop?”
“Che ancora non
mi piace PER NIENTE. E’ vero che ho le gambe stortignaccole?”
“Certo”, rispose
sua madre. “Tutti i gufi piccoli hanno le gambette stortignaccole.”
“Allora va bene”,
disse Plop. “Lo sai che cosa ha detto la vecchia signora? Che i piccoli si
devono vedere ma non si devono sentire.”
Papà gufo aprì
un occhio assonnato. “Parole sante!” esclamò.
("Il gufo che aveva paura del buio" di Jill Tomlinson)
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