Dopo aver
dormito quasi tutto il giorno, Plop quella sera era molto vispo … vispo e
affamato. Si avviò dondoloni sul ramo dell’albero dove stava riposando suo
padre, per vedere se per caso lui si fosse già svegliato per andare a caccia.
Papà gufo era
disteso immobile: sembrava quasi che non
respirasse.
Plop si avvicinò
in punta di piedi e provò a guardarlo in faccia. Che becco adunco e robusto
aveva!
“Papà, sei
sveglio?” chiamò ad alta voce. “Ho fame.”
Gli occhi di
papà gufo non si aprirono, ma il suo becco si mosse.
“Va’ via”, disse
il becco. “Sto dormendo.”
Plop ubbidì, ma
poi ci ripensò e tornò indietro. “Papà, non puoi essere addormentato! Hai
parlato … ti ho sentito.”
“Devi essertelo
immaginato”, rispose suo padre senza aprire gli occhi.
“Hai parlato”,
disse Plop. “Sei sveglio! Puoi andare a caccia”, e prese a zuccate la pancia
del papà. “Su, è ora di alzarsi!”
Papà gufo si
stirò con un sospiro. “E va bene, va bene, piccola peste! Che ora è?” Guardò il
cielo. “Per tutti i pipistrelli! Non è ancora buio! Potevo dormire un’altra
mezz’ora.” Fulminò Plop con lo sguardo. “Oh, insomma! Resterò a letto quanto mi
pare. Non mi farò certo costringere da un … da un qualunque uccellino del giorno. Vattene! Devi svegliarmi
quando è buio, non prima, hai capito?” E si sporse in avanti fin quasi a
toccare con il suo enorme becco quello microscopico del figlio. Plop poteva
addirittura vedere due altri piccolissimi Plop riflessi negli occhi del padre.
“Ehm … sì, papà”,
mormorò indietreggiando.
“Bravo”, disse
suo padre rimettendosi giù a dormire.
Plop rientrò nel
nido a piagnucolare dalla mamma. Insonnolita lei cercò di consolarlo. “Tesoro,
se fossi in te andrei a scoprire ancora un po’ di mondo”, disse. “Guarda:
laggiù c’è una ragazza. Perché non vai a parlare con lei?”
Plop sbirciò tra
le foglie. Poco lontano dall’albero c’era qualcuno che indossava lucidi stivali
neri e una pelliccia col cappello uguale; aveva anche qualcosa che somigliava
ad una barba bianca.
“Non è una
ragazza!” strillò Plop. “Quello è Babbo Natale!”
E si staccò dal
suo ramo talmente in fretta che si scordò di chiudere gli occhi, o almeno di respirare profondamente.
Atterrò proprio
bene, tutto sommato, ma all’ultimo momento perse l’equilibrio e ruzzolò a
faccia in giù.
Una mano gentile
lo rialzò e lo rimise in piedi.
“Oh, povero
ciccio”, disse una dolce, fresca voce. “Va tutto bene?”
Plop alzò subito
gli occhi: non sembrava la voce giusta. Quello che vide non era affatto una
barba bianca … erano dei capelli biondi.
“Tu non sei per
niente Babbo Natale!” esclamò Plop imbronciato. “E dire che io sono sceso apposta!”
“Mi dispiace
terribilmente”, si scusò la ragazza.
“E poi io non
sono un ciccio. Io sono un gufo.”
La ragazza lo
guardò. “Mi è venuta un’idea. Che ne diresti se ti facessi il ritratto? Nel mio
album da disegno non c’è nessun gufo.”
“Un ritratto a
me?” chiese Plop. “Dici davvero a me?”
“Sì, ti prego.
Potresti metterti in posa su quel ramo basso.”
Plop svolazzò
sul ramo e si mise impettito sull’attenti. La ragazza si sedette su un tronco e
cominciò a disegnare. “Mi porto sempre appresso l’album da disegno nell’eventualità
che veda qualcosa d’interessante”, disse.
L’interessante
gufetto si drizzò con orgoglio come una sentinella sulla torretta.
Ma non durò a
lungo. Quando la ragazza alzò gli occhi dal disegno si accorse che il suo gufo
era scomparso.
“Mi fai vedere?”
chiese una vocina accanto al suo stivale. Plop dondolava su e giù cercando di
sbirciare sull’album.
“Non c’è molto
da vedere”, disse lei, “ma … d’accordo, puoi guardare lo stesso.”
E Plop guardò. “Io
non sono così pelato!” protestò offeso.
“Non ho ancora
finito di rivestirti”, disse la
ragazza.
“E poi mi hai
fatto una gamba sola.”
“Ho paura che un
gufo pelato e con una gamba sola sarà tutto quello che rimarrà, se non stai
fermo.”
Dopo di che Plop
ce la mise tutta; scese dal ramo soltanto tre o quattro volte per vedere come
procedeva.
Quando il
disegno fu finito, Plop non riuscì a credere ai propri occhi. “Quello sono
davvero io?” chiese. “Sono preciso a papà … be’, quasi.”
“Sì, sei proprio
tu”, rispose la ragazza. “Vedi, su un lato dell’album disegno gli animali che
escono di giorno, e sull’altro lato metto quelli notturni, Tu stai tra questi,
naturalmente.”
“Ehm …
naturalmente”, balbettò Plop.
“Tutti gli
animali più interessanti sono nel lato tuo”, continuò lei. “Io sono convinta
che il BUIO E’ AFFASCINANTE.”
“Io … ehm …
parlami del buio”, disse Plop. Vedete, ormai era troppo tardi per avvertirla
che l’aveva messo dalla parte sbagliata dell’album!
“Allora salta su”,
disse la ragazza tendendogli un dito per prenderlo in braccio. “Ti mostrerò che
ti trovi in buona compagnia. Guarda … ecco i tassi.”
Plop osservò i
grossi animali bianchi e neri con le strisce lungo il naso. “Hanno una faccia
buffa”, disse.
“Così nel buio
non si scontrano tra loro”, spiegò la ragazza. “Non ci vedono molto bene.”
Voltò la pagina.
“Ah, queste per me sono le creature notturne più affascinanti di tutte: i
pipistrelli.”
“Hai messo l’album
a rovescio”, disse Plop.
La ragazza
scoppiò a ridere. “No, l’ho messo bene! Vedi, quando non svolazzano di qua e di
là, ai pipistrelli piace stare così … appesi per i piedi a testa in giù.”
“Ma dai!” disse
incredulo Plop.
“Dico sul serio.
Devi sapere che se tu fossi un piccolo di pipistrello, tua madre ti porterebbe
con sé dappertutto, aggrappato alla sua pelliccetta. Ti faresti delle belle
scarrozzate!”
“Oh, come mi
piacerebbe”, sospirò Plop.
“Sì, ma una
volta diventato troppo grande per essere trasportato, sai che cosa farebbe tua
madre? Bene, prima di uscire ti appenderebbe.”
“Mi
appenderebbe?” chiese Plop. “A testa in giù?”
“Proprio così.
Adesso vediamo chi altro c’è.” La ragazza voltò quache pagina. “Ecco qua … Ehi!”
Plop non c’era più. Stava sul ramo ad oscillare avanti e indietro come un
acrobata sul trapezio. Ogni tanto si spingeva un po’ troppo, e allora dimenava
le ali per riprendere l’equilibrio.
“Che stai
facendo?” chiese la ragazza.
“Sto provando a
fare il pipistrello”, rispose Plop, “ma non capisco come si comincia. Non
riesco a mettermi a testa in giù.”
“Forse è più
facile fare il riccio”, disse la ragazza. “Quando è spaventato si arrotola come
una palla. Guarda, qui c’è la figura.”
Con un salto
Plop le tornò sul ginocchio ed osservò il riccio.
“Ha le piume
tutte spettinate!” esclamò.
“Non sono piume,
sono aculei. Sono molto utili. Grazie
a loro, un riccio riesce a saltare da una grande altezza senza farsi male,
perché diventa una palla spinosa e rimbalza.”
“Sono utili
davvero”, disse Plop. “Vorrei avere anch’io gli aculei.”
Saltò giù dal
ginocchio e provò ad arrotolarsi come una palla. Era difficilissimo. “A quanto
pare non sono abbastanza pieghevole”, disse. All’improvviso smise di rotolarsi
e rimase immobile ad ascoltare, poi tornò di corsa in braccio alla ragazza
cercando di rintanarsi nella sua pelliccia.
“Che è successo?”
chiese lei.
“C’è un rumore strano”, sussurrò. “Laggiù.”
La ragazza tese
l’orecchio; dalle foglie secche sotto il grosso albero veniva un fruscio
incessante.
“Ehi, mi sa
proprio che è un riccio!” esclamò. “Sì, eccolo! Guarda!”
Plop sbucò dalla
pelliccia e spiò con cautela. Un musetto appuntito si fece largo tra le foglie,
poi un animaletto rotondo attraversò di corsa il prato davanti a loro.
“I ricci non si
preoccupano mai di non farsi notare”, bisbigliò la ragazza, “perché sanno che
nessuno avrebbe il coraggio di mangiare niente di tanto spinoso.”
“Sicuro?” disse
Plop. “Ho tanta fame che potrei mangiare qualunque cosa!”
Il riccio si
immobilizzò e si arrotolò stretto stretto come una pallina.
La ragazza
rimproverò Plop. “Deve averti sentito.
Ti sembra bello quello che hai detto?”
“Però è vero”,
disse Plop. “Sto morendo di fame.”
“Oh, è naturale!
Adesso che fa buio vai a caccia con i tuoi genitori, no? Mi ero dimenticata che
sei un uccello notturno.”
L’uccello
notturno si guardò le dita dei piedi.
“Bene, non
voglio trattenerti”, continuò lei, “solo … ti dispiacerebbe farmi un favore
prima di andartene? Vorrei tanto
sentirti gridare.”
A Plop non
dispiaceva affatto. Gonfiò il petto in fuori e le dedicò il più grandioso iiik che avesse mai fatto.
“Fantastico!”
esclamò la ragazza.
Plop fece il suo
buffo inchino, poi spiccò il volo e tracciò qualche cerchio in aria gridando
con tutto se stesso, mentre la ragazza lo salutava con la mano.
Dopo un ultimo iiik di addio, Plop volò sopra il suo
ramo.
“Allora?” chiese
sua madre.
“La ragazza …
avevi ragione, sai, era proprio una ragazza … insomma lei dice che il buio è
affascinante.”
“E tu che ne
pensi, Plop?”
“Che ancora non
mi piace PER NIENTE. Ma sapessi! La ragazza mi ha fatto un ritratto.”
“Be’, è
straordinario, no?” disse mamma gufo. “A me non lo ha fatto mai nessuno.”
“E poi lei dice
che il mio grido è fantastico.”
“Ah, dice così?
Io mi chiedevo che cosa fosse tutto quel fracasso.”
“Dov’è papà?”
chiese Plop.
“E’ fuori a
caccia.”
“Meno male! Sarei
capace di mangiare un riccio!”
“Non te lo
consiglio”, disse sua madre.
("Il gufo che aveva paura del buio" di Jill Tomlinson)
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