«Presto!»
disse il Signor Volpe. «Nascondiamoci!»
Tasso,
il volpacchiotto e il Signor Volpe balzarono su un ripiano e si nascosero
dietro una fila di grossi orci di sidro. Sbirciando attraverso i recipienti,
videro una donna enorme che scendeva le scale. Giunta all’ultimo scalino, si
fermò guardando a destra e a sinistra. Poi si girò e si diresse verso il punto
in cui si nascondevano gli animali. Si fermò proprio di fronte a loro. La sola
cosa che li separava era una fila di orci. La donna era talmente vicina che il
Signor Volpe poteva sentire il suo respiro. Arrischiò un’occhiata tra due
bottiglie e notò che la donna aveva in mano un grosso mattarello.
«Quanto
ne vuole, questa volta, il signor Pertica?» urlò la donna.
E
dall’alto delle scale, l’altra voce rispose: «Portane due o tre orci».
«Ieri
ne ha vuotati quattro, il signor Pertica».
«Sì,
ma non ne vuole tanto quanto ieri, perché non rimarrà laggiù più di qualche
ora. Dice che la volpe uscirà sicuramente questa mattina. Non può restare un
giorno di più in quel buco, senza mangiare».
Nella
cantina, la donna tese le braccia e sollevò un orcio. Non ne restava che uno
solo tra lei e quello dietro al quale si nascondeva il Signor Volpe.
«Non
vedo l’ora che quella sporca bestia sia uccisa e appesa alla porta d’entrata»
gridò. «E a proposito, il signor Pertica, vostro marito, mi ha promesso la coda
come ricordo».
«La
coda l’hanno fatta a pezzi i pallini» disse la voce proveniente da sopra. «Non
lo sai?»
«Si è
rovinata, allora?»
«Certo
che si è rovinata. Hanno sparato sulla coda, ma hanno mancato la volpe».
«Oh,
che scalogna!» disse la grossa donna. «Ci tenevo tanto a quella coda!»
«Puoi
avere la testa, Mabel. La fai impagliare e la sistemi al muro della tua camera.
Però, ora, sbrigati con quel sidro!»
«Sì,
signora, arrivo».
E
prese un secondo orcio dal ripiano.
“Se
ne prende un altro, ci vede” pensò il Signor Volpe. Sentiva il corpo del
volpacchiotto stretto contro di lui, teso e tremante.
«Saranno
sufficienti due, signora, o devo portarne tre?»
«Dio
mio, Mabel, fa lo stesso, purché ti sbrighi».
«Allora
vada per due» disse la grossa donna. «In tutti i modi, beve sempre troppo».
Portando
un orcio in ciascuna mano e serrando il mattarello sotto il braccio, attraversò
la cantina. In fondo alla scala guardò attorno a sé, fiutando.
«Ci
sono ancora topi, qui, signora. Li sento».
«Allora
avvelenali, donna, avvelenali. Lo sai dove teniamo il veleno».
«Sì, signora»
disse Mabel.
Risalì
la scala lentamente e scomparve. La porta sbatté.
«Presto!»
disse il Signor Volpe. «Prendete
ciascuno un orcio e filiamo!»
Topo,
seduto sul suo alto ripiano, gridò: «Cosa vi avevo detto! Per poco non vi siete
fatti beccare, eh! Per poco non avete rovinato tutto! Andatevene, ora! Non
voglio più vedervi qui in giro! Questa è casa mia!»
«Tu»
disse il Signor Volpe, «finirai avvelenato».
«Balle!»
fece Topo. «Da qui vedo dove mette quella roba. Non mi avrà mai».
Il
Signor Volpe, Tasso e il volpacchiotto presero un orcio ciascuno e
attraversarono la cantina correndo.
«Salve,
Topo!» salutarono sparendo attraverso il foro del muro. «Grazie per questo
sidro delizioso!»
«Ladri!»
urlò Topo. «Predoni! Banditi! Grassatori!»
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