Domenica scorsa il mio pastrugno è rimasto incantato da alcune storie raccontate e drammatizzate a (una la conoscete già!) qui a Biassono negli spazi del municipio e dei giardini pubblici, trasformati per quel giorno in "La città dei ragazzi".
Un'altra delle storie ascoltate dai bambini è stata questa:
ITAMAR IL CACCIATORE DI SOGNI
Questa
notte Itamar ha sognato un folletto celeste, molto triste.
Nel
sogno il folletto celeste seguiva Itamar dappertutto, e gli faceva ombra.
Il
folletto aveva due occhi rossi e malinconici, e delle corna storte, affilate.
Itamar
cercava di scappare via, ma il folletto lo seguiva e gli faceva ombra.
Nel
sogno Itamar fuggiva da casa e andava sulla riva del mare, al sole, ma il
folletto lo seguiva e gli faceva ombra.
Sulla
riva del mare c’era molta gente, ma il folletto proiettava la sua ombra solo su
Itamar. Itamar urlava e chiedeva aiuto alla gente, ma loro non lo sentivano.
Poi
Itamar lancia un urlo ancora più tremendo, e d’un tratto si accorge che papà è
accanto a lui per calmarlo.
«Ho
sognato di nuovo quell’orribile folletto» piange Itamar. «Perché viene da me
ogni notte, nel sogno?» grida Itamar al suo papà. «Se ne vada! Pussa via!
Guarda: per colpa sua mi è venuta fuori un po’ di pipì sul pigiama!»
Papà
cambia i pantaloni a Itamar e intanto gli parla e lo tranquillizza. Gli ricorda
la società segreta che loro due hanno fondato tempo fa, chiamata “Itapà” cioè Itamar e papà in una
parola sola.
Papà
promette a Itamar che l’indomani la “Itapà” studierà un piano per sconfiggere
il folletto celeste e triste. Papà rimane per un po’ accanto al letto, finché
Itamar si riaddormenta e dorme tranquillo.
«Itamaruccio
mio, i folletti non esistono veramente!» dice papà l’indomani, mentre porta
Itamar in macchina a scuola.
«Ma
nel mio sogno il folletto è vero eccome!» dice Itamar. «Vieni dentro il mio
sogno e lo vedrai con i tuoi occhi!»
«Ma
non posso sognare il tuo sogno» spiega papà. «Ognuno fa i suoi, di sogni.»
«Allora
il folletto è soltanto mio?» domanda tristemente Itamar.
«Penso
proprio di sì» risponde papà.
«Però
potrei aiutarti da fuori. Senti un po’: stasera, quando vai a dormire, facciamo
insieme una trappola per i sogni e così cattureremo il tuo folletto!»
«Una
trappola per i sogni? Che sarebbe? Com’è?!»
«Aspetta
e vedrai. Una trappola per i sogni a forma di tenda con tanto di piano segreto.
La “Itapà” sconfiggerà questo folletto!»
La
sera papà costruisce accanto al letto di Itamar una piccola tenda, molto
astuta: la tenda è fatta con dei lenzuoli tenuti su da un manico di scopa, che
papà ha collegato al letto di Itamar per mezzo di uno spago.
Poi
gli dice: «Quando il folletto verrà da te nel sogno, tira la corda: il bastone
cadrà e la tenda di lenzuoli finirà sopra di lui e lo intrappolerà, poi mi
chiamerai e lo cacceremo via per sempre!»
Il
papà ha anche appeso alla tenda dei cartellini con le frecce, per indicare al
folletto la strada per arrivare da Itamar (e ovviamente anche nella trappola
…).
Poi
dà a Itamar una piccola torcia per illuminare l’ombra del folletto, e gli
promette di sorvegliare a distanza che non capiti nulla di brutto. Infine gli
bisbiglia nell’orecchio la frase in codice della loro società segreta: «Coraggio
da leone, pioggia o solleone!» Itamar lo sa che il folletto non cadrà in
trappola, ma è bello pensare che invece sì.
…E
nel cuore della notte il folletto celeste e triste entra sotto la tenda di
lenzuoli accanto al letto. Poi passa
diretto al sogno di Itamar, ma Itamar sente l’ombra che si avvicina e tira la
corda più forte che può.
Improvvisamente
si sente un frastuono tremendo: il manico di scopa cade, i lenzuoli crollano e
crollando avvolgono qualcuno. Itamar accende la torcia e guarda atterrito i
lenzuoli che sventolano su e giù.
Itamar
sta per gridare: «Aiuto, papà» quando si accorge che quel qualcuno che è sotto
il lenzuolo deve essere un qualcuno di molto, molto piccolo.Molto più piccolo
di lui. Persino più piccolo di una lepre (che comunque non gli fa più nessuna
paura).
Itamar
solleva leggermente il bordo del lenzuolo e rimane di stucco: lì sotto c’è il
folletto celeste e triste. Sembra proprio come nei sogni, ma è minuscolo,
minuscolo come un gattino.
«Per
favore, non illuminarmi!» implora il folletto. «Non sopporto la luce forte!»
Ma
Itamar ha paura, così non spegne la luce. Il folletto si raggomitola tutto. Da
vicino è piuttosto misero. Gli occhietti rossi ricordano a Itamar quelli di un
tizio che una volta aveva visto sbraitare e fare il matto per strada. Le corna
storte sono come quelle di un mostriciattolo dei cartoni animati. E la voce
assomiglia al cigolio della porta della cantina, sotto il pianterreno.
«Ad-ad-ess-esso
chiamo il mio papà» dice Itamar con la voce tremula.
«Il
tuo papà non può vedermi» risponde il folletto. «Solo tu puoi. Io sono soltanto
tuo. E per favore, smettila di abbagliarmi, non ti faccio mica niente!»
Itamar
allora gira la torcia da un’altra parte, il folletto si distende un po’ e dice
fra sé: «Che vergogna! Cadere in trappola così stupidamente! Che vergogna!»
Sembra
più triste del solito, persino spaventato.
«Se
sei soltanto mio» domanda Itamar «che cosa succede se non ti sogno più?»
«In
questo caso non esisterò più» risponde mestamente il folletto.
«Proprio
più, da nessuna parte?»
«Da
nessuna parte. Solo quando tu sei così gentile da sognarmi posso esistere un po’. Ma soltanto finché il tuo sogno non
finisce. Grazie davvero.»
«E
perché non vai nei sogni di qualcun altro?!» domanda Itamar un po’ rabbioso.
«Non
posso. Io sono soltanto tuo. Soltanto soltanto. A casa, pensa, mi chiamano
Ramati, che sarebbe il tuo nome all’incontrario.»
«Ramati»
sussurra Itamar, e poi ancora: «Ramati … è carino.»
«Grazie.»
«Allora
è per questo che mi segui ovunque, in sogno?»
«Perché
ho paura che mi dimentichi, ecco» disse sottovoce il folletto.
Itamar
rimane pensieroso. Intorno è buio, Itamar sente tutti gli altri che dormono,
eppure non ha paura. Dice: «Se vuoi che ti sogni, allora devi stare sempre
lontano da me, nei miei sogni, e non farmi ombra.»
«Dove
devo mettermi, di preciso?» domanda il folletto.
«Sempre
in fondo. Perché quando vedo tutte le tue parti insieme – gli occhi e le corna
e il resto – mi spavento. Se invece ogni volta mi fai vedere soltanto un pezzo,
allora ti permetto di restare. E così magari pian piano mi abituo a te.»
«E
non griderai più e non ti sveglierai ogni volta?» domanda il folletto. «E mi
lascerai restare ed esistere ancora un po’?»
«Soltanto
se farai come ti ho detto.»
«E
sognerai cose belle e interessanti come il giardino zoologico? Non mi hai mai
portato in un sogno con lo zoo! E anche alla stazione dei pompieri, mi porterai
, e anche al supermercato?»
«No»
risponde Itamar «quelli sono i miei sogni, io vorrei sognare altre cose, come
ad esempio … fare canestro.»
«E va
bene» sospira il folletto. «Ma adesso aiutami a uscire da questa stupida
trappola.»
Itamar
lo aiuta a liberarsi dal lenzuolo, così il folletto si raddrizza in piedi e fa
un po’ di ginnastica, qualche saltino giusto per far vedere quanto è bravo, e
che non gli importa di essere caduto in una trappola così stupida. Poi dice: «Ciao,
eh, ci vediamo.» Salta e sparisce nell’aria, esattamente come è venuto. Itamar
spegne la torcia e torna a distendersi nel letto, pieno di pensieri, tanto che
nemmeno si accorge di addormentarsi.
E per
tutta la notte sogna canestri, una volta soltanto la palla va a finire alla
stazione dei pompieri …
La
mattina papà va a svegliarlo ed esclama stupito: «Ehi! Guarda che cosa è
successo alla trappola che ti ho montato!»
Già:
ha tutta l’aria di una trappola in cui è entrato qualcuno nella notte. Così
Itamar racconta a papà il suo sogno, che forse era vero. Papà controlla i
lenzuoli della trappola e trova alcune macchie celesti, come di inchiostro, o
di un’ombra celeste molto intensa. Papà e Itamar si guardano.
Poi
il primo dice: «Forse le ha lasciate lui.»
Itamar
pensa: “Ha perso colore come una farfalla quando la tocchi.”
«Complimenti»
commenta entusiasta papà «l’hai sconfitto da solo.»
«Ma
tu mi hai aiutato con la tenda» ride Itamar, e i due si guardano negli occhi,
poi dicono in fretta, sottovoce: «Coraggio da leone, pioggia o solleone!
Coraggio da leone, pioggia o solleone!»
(David Grossman)
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