C’era
una volta un ricco mercante. Era rimasto vedovo e aveva tre figlie. Le
prime due erano avide e arroganti; la terza invece, che si chiamava
Bella, era molto buona, la gioia e la consolazione del padre, e
suscitava l’invidia delle sorelle.
Per la sua dolcezza, Bella aveva molti pretendenti, ma rifiutava con garbo ogni proposta di
matrimonio perché desiderava passare ancora qualche anno accanto al
vecchio padre. Invece le altre due, che si davano un sacco di arie,
erano superbe con tutti i pretendenti e non trovavano mai nessuno che
fosse al loro livello.
Purtroppo il mercante ebbe un rovescio di
fortuna. Una tremenda tempesta provocò il naufragio delle navi che
trasportavano le sue mercanzie. L’uomo fu soffocato dai debiti e dovette
vendere la sua lussuosa casa di città e trasferirsi in campagna, in una
dimora modesta.
Bella, seppur rattristata, reagì alla nuova vita
con coraggio: si rimboccò le maniche e diventò ancora più affettuosa nei
confronti del padre. Le sue sorelle invece non facevano altro che
lamentarsi perché non potevano più permettersi una vita lussuosa, tanto
più che una volta ridotte in povertà tutti i loro pretendenti erano
spariti.
Dopo un anno, nella casa di campagna arrivò una lettera:
annunciava al mercante che una delle navi date per disperse era giunta
in porto con le mercanzie. L’animo del brav’uomo si riaccese di
speranza. Quella stessa sera preparò i bagagli per andare in città.
A quella notizia anche le figlie esultarono, soprattutto le due più
grandi. “Padre, mi raccomando: ora che siamo tornati ricchi, portaci un
regalo. Io voglio un mantello di pelliccia e dei cappellini nuovi” disse
la maggiore. “Io invece vorrei dei vestiti e una borsetta, e anche un
paio di guanti” disse l’altra.
“Figlie mie, una nave è soltanto una
nave, e non so se ci farà tornare ricchi come un tempo” tentò di
replicare il mercante. Ma le due continuarono con un lungo elenco di
richieste: e gioielli, e merletti, e scarpine di seta …
“E tu,
Bella, che cosa desideri? Non vuoi qualcosa anche tu?” domandò allora il
padre alla più piccola, che se ne stava silenziosa in un angolo senza
chiedere niente.
Bella in verità non desiderava nulla, ma per non far sfigurare le avide sorelle pensò di chiedere un piccolo regalo.
Così disse al padre: “Poiché sei così buono da pensare a me, portami un
ramoscello di rose: non ne crescono nel nostro orto e, magari, se
riesco a trapiantarle …”
La mattina dopo, il mercante partì di
buon’ora, ma appena arrivato a destinazione scoprì che le mercanzie
recuperate bastavano a malapena a coprire i debiti e a ripagare i
marinai. Due giorni dopo, quando riprese la strada di casa, era più
povero di quando era partito.
Il mercante era quasi arrivato a casa:
ormai non mancavano che poche miglia quando cominciò a nevicare. La
neve si fece sempre più fitta, fino a trasformarsi in una vera e propria
bufera; in poco tempo ricoprì il sentiero e il buon uomo di perse. Dopo
aver vagato a vuoto per ore e ore, rischiando di morire assiderato o
sbranato dai lupi, finalmente intravide un lume in fondo a un viale
alberato. Il mercante seguì la luce e si ritrovò davanti a un bellissimo
palazzo. Riparò il cavallo nella scuderia ed entrò, in cerca del
padrone di casa. Si fermò accanto al camino acceso nel salone per
riscaldarsi, nell’attesa che qualcuno si presentasse. Ma non arrivò
nessuno. Stanco per il viaggio e affamato, l’uomo si sedette a tavola,
che era preparata e imbandita, e cenò.
“Chiederò scusa al padrone non appena lo incontrerò, e lo ringrazierò per la sua squisita ospitalità” pensò.
Dopo aver mangiato, cercò una camera per riposarsi e si coricò.
Il mattino dopo, al risveglio, il mercante ritornò nel salone, dove trovò la tavola apparecchiata per la colazione.
Guardando fuori dalla finestra, vide che la neve si era sciolta ed era
tornato il sole. “Adesso devo andare, ma tornerò per ringraziare il
padrone di casa” si disse.
Quando uscì nel giardino, passò accanto a
un magnifico roseto e, ricordando la richiesta della figlia più
piccola, si avvicinò per prenderne un ramo.
Aveva appena staccato
una rosa quando sentì un ruggito e vide avanzare verso di lui un essere
orrendo, così terrificante da farlo quasi svenire per lo spavento.
Era la Bestia, il signore di quel luogo.
“Ingrato! E’ così che ricambi la mia ospitalità?” gridò la Bestia,
avventandosi su di lui. “Io ti ho salvato la vita e tu rubi le rose del
mio giardino. Pagherai questo affronto con la morte!”
“Perdonami,
signore, non volevo offenderti” balbettò il mercante, cadendo in
ginocchio. “Non intendevo affatto rubare, desideravo soltanto portare
una rosa alla più giovane delle mie figlie, che me l’ha chiesta.”
“Non chiamarmi signore, vedi bene che essere mostruoso hai davanti.
Chiamami Bestia: è ciò che sono. Hai detto che hai delle figlie. Bene.
Se una delle tue figlie verrà qui al tuo posto di sua spontanea volontà,
avrai salva la vita. Vai, ora. Ma se tua figlia non si presenterà,
dovrai tornare da me di qui a tre mesi.”
Il mercante lo ringraziò
con la morte nel cuore. Stava per congedarsi quando la Bestia aggiunse:
“Non voglio che tu te ne vada a mani vuote. Torna nella tua camera.
Troverai un baule: riempilo pure di tutto ciò che vuoi. Penserò io a
mandartelo a casa.”
Il mercante fece quanto gli aveva detto la
mostruosa creatura e, tornato in camera, trovò il baule, che riempì di
gioielli e monete d’oro. “Se proprio devo morire, darò un avvenire
sereno alle mie figlie” si disse, e poi, ripreso il suo cavallo, tornò a
casa.
Le figlie gli corsero incontro facendogli festa e il buon
uomo ricambiò i loro abbracci. Poi porse il ramo di rose a Bella e
disse: “Figlia mia, purtroppo queste rose mi sono costate carissime” e
raccontò tutto quanto era successo dopo la sua partenza.
Le sorelle
maggiori, indignate, si scagliarono contro la sorella, ma la piccola
rassicurò il padre: “Padre mio, io sono disposta a sacrificare la mia
vita pur di salvare la tua. Non ti preoccupare: domani stesso partirò
per il palazzo della Bestia.” Il padre cercò di dissuaderla, ma fu
inutile. Le sorelle invece esultarono, perché avevano sempre detestato
Bella e quella era una magnifica occasione per sbarazzarsi di lei.
Quando si ritirò nella sua camera, il mercante vide che la Bestia era
stata di parola. Ai piedi del letto c’era il forziere pieno di monete e
preziosi. Rivelò la cosa solo a Bella, che con la sua consueta bontà
propose al padre di usare quel denaro per maritare le sorelle,
perdonando la loro gelosia.
Il mattino dopo, Bella e il padre
partirono. Le sorelle nascosero a stento la loro contentezza. Quando
arrivarono al palazzo, tutto si ripeté come la prima volta: ripararono
il cavallo nella scuderia ed entrarono nella grande sala, dove li
attendeva la tavola apparecchiata e coperta di cibi squisiti.
Non c’era nessuno ad accoglierli: la Bestia non si fece vedere.
“Di certo questo essere mostruoso vuole ingrassarmi per fare di me un
buon boccone” pensò la fanciulla, ma per non intristire il padre si
sforzò di mangiare. Avevano appena finito di cenare quando, con un
fragoroso ruggito, comparve la Bestia.
Nonostante fosse preparata,
alla vista di quella mostruosa figura Bella ebbe un tuffo al cuore, ma
fece di tutto per non lasciar trapelare l’orrore e si mostrò cortese.
“Sei venuta qui di tua volontà?” le chiese la Bestia.
“Sì, e sono decisa a restare” rispose lei, senza osare guardarlo in
viso. “Ho procurato soltanto guai a mio padre chiedendogli una rosa, ed è
giusto che sia io a prendere il suo posto.”
“Sei una fanciulla
buona e generosa” disse la Bestia in tono più dolce. Poi si rivolse al
padre: “Tu puoi ripartire domattina, perché hai mantenuto la promessa.
Vi auguro una buona notte.” Dette queste parole, se ne andò.
Quella notte Bella fece un sogno: le apparve una bellissima signora.
“Non hai da temere nulla” le disse la dama con dolcezza. “La tua bontà
sarà ricompensata.” Un po’ rassicurata dal sogno, la mattina Bella lo
raccontò al padre prima di separarsi da lui.
I due si abbracciarono a lungo e il mercante partì.
Rimasta sola, la fanciulla raggiunse la sala, dove trovò la tavola
apparecchiata; ma la Bestia non c’era. Per ingannare l’attesa la
fanciulla pensò di visitare il palazzo. La sua meraviglia fu grande
quando, vagando per i corridoi, si trovò di fronte a una porta sulla
quale era inciso il suo nome a caratteri d’oro. Bella la aprì ed entrò
in un appartamento arredato con grande gusto, con una biblioteca colma
di libri.
Corse a prenderne uno e sfogliando la prima pagina lesse:
Questa, mia Bella, è la tua dimora: qui regnerai signora e padrona.
“Ma io non ho altro desiderio che quello di rivedere mio padre”
sussurrò Bella. Appena pronunciate queste parole, il suo sguardo cadde
su uno specchio, e dentro lo specchio Bella vide la sua casa, il padre
che arrivava in quell’istante e le sorelle che gli correvano incontro.
Le due fingevano dispiacere per la sorte della sorella, ma si vedeva
benissimo che erano contente di essersi finalmente liberate di lei.
Bella si rattristò della loro gelosia, ma fu riconoscente nei confronti
del suo guardiano, che la trattava con ogni riguardo, come un’ospite
speciale. “Forse la Bestia non desidera uccidermi. Se non avesse buone
intenzioni non mi avrebbe circondato di tutte queste meraviglie” si
disse, col cuore più leggero, tornando verso la sala. Trascorse tutto il
giorno in attesa della Bestia. Visitò ogni stanza, uscì in giardino,
suonò il clavicembalo che aveva ricevuto in dono. Ma dell’essere
terribile non c’era traccia.
Solo la sera, mentre Bella cenava, la
Bestia ricomparve con un gran ruggito. La fanciulla questa volta non
ebbe paura, perché intravide un bagliore di tenerezza negli occhi del
mostro. “Ti dispiace se rimango mentre stai cenando!” le chiese lui.
“Niente affatto” rispose la ragazza. “Sei il padrone di casa, e puoi
fare come più ti piace.”
“Non farei nulla che tu non desideri” replicò cortese la Bestia.
“Ma non hai più paura di me? Non mi trovi orrendo!”
“Sì, ti trovo brutto” rispose Bella con coraggio, ricambiando per la
prima volta il suo sguardo. “Ma vedo anche che sei molto buono, e ci
sono uomini ben più mostruosi di te, perché sotto un bell’aspetto
nascondono un cuore falso e cattivo.”
“Bella, vuoi sposarmi?” le chiese allora la Bestia.
“No, non potrei proprio” rispose Bella con sincerità. “Ma ti sarò amica.”
La Bestia si alzò da tavola e la lasciò sola.
I giorni trascorsero sereni per Bella, che cominciò ad apprezzare la
sua vita solitaria nel palazzo. Passava le giornate tra lettura, musica e
giardinaggio, ed era sempre più impaziente che venisse la sera per
rivedere la buona Bestia. Facevano lunghe conversazioni accanto al
camino, e più conosceva il suo ospite più si stupiva della sua amabilità
e della sua arguzia.
L’unica cosa per cui provava dispiacere è che ogni sera, immancabilmente, lui le chiedeva di diventare sua sposa.
E ogni sera Bella rifiutava.
Un giorno, guardando nello specchio fatato, dove poteva vedere le
immagini della sua casa e dei suoi familiari, Bella scoprì che il padre
era molto malato: si stava consumando per il dolore di averla perduta.
Quella sera, quando si incontrarono, la Bestia le rivolse la solita domanda: “Bella, mi vuoi sposare?”
Allora Bella rispose: “Amico caro, io non posso diventare tua moglie,
anche se provo grandissimo affetto per te e desidero abitare con te.
Però oggi, guardando nello specchio, ho visto che mio padre sta male.
Lascia che vada a rivederlo per l’ultima volta e ti prometto che tra
otto giorni sarò da te per sempre.”
La Bestia allora disse: “Io
desidero solo la tua felicità. Prendi questo anello. Mettilo sul tuo
comodino questa sera e domattina ti ritroverai a casa tua. Quando vorrai
tornare, appoggialo ancora sul comodino e il mattino dopo sarai da me.
Non mi dimenticare, Bella, e torna: non potrei più vivere senza di te.”
Bella fece come la Bestia le aveva detto. Il mattino dopo si risvegliò
nel letto della casa paterna. Suonò il campanello e accorse la
domestica, che per la meraviglia di vederla gridò. Allora il padre si
precipitò nella camera e, quasi non credendo ai suoi occhi, baciò e
abbracciò la figlia che aveva ormai dato per morta. I due si
raccontarono commossi quanto era successo negli ultimi mesi. Le due
sorelle si erano sposate, ma erano infelici: una aveva un marito molto
intelligente e ricco, che però la disprezzava e la maltrattava; l’altra
aveva un marito bellissimo e assolutamente vanitoso, così concentrato su
se stesso che la ignorava del tutto.
Bella se ne rattristò molto e
nella sua bontà desiderò fare qualcosa per loro. La Bestia le aveva
mandato un baule colmo di vestiti bellissimi: lei pensò di regalarne
qualcuno alle sorelle, ma non appena tentò di prenderli, il baule sparì.
La ragazza capì allora che la Bestia desiderava che lei serbasse ogni
cosa per sé.
Quando le sorelle arrivarono a casa, avvertite dal
padre del ritorno della più piccola, vollero vedere coi propri occhi
com’era ridotta la sorella. Ma nel vederla più bella che mai, vestita e
ingioiellata come una regina, quasi scoppiarono dall’invidia. Celando la
rabbia, interrogarono la sorella. Appresero che sarebbe rimasta con
loro solo per una settimana, perché aveva promesso alla Bestia di fare
ritorno a palazzo.
“Guardala, quella sfrontata. Ha incontrato un
mostro ricchissimo e ora si dà alla bella vita. Cerchiamo di tenerla
qui.” disse la maggiore all’altra. “Se si ferma di più, la Bestia andrà
su tutte le furie e magari la punirà con la morte.”
Così la
colmarono di coccole e si finsero tanto felici di stare con lei che la
fanciulla, commossa, rinviò la partenza di una settimana.
Ma Bella
non era contenta. Si tormentava di non aver mantenuto la promessa.
Pensava sempre al suo caro mostro, ricordava le sue parole e non vedeva
l’ora di rivederlo. Ne sentiva la mancanza. Una notte, poi, fece un
sogno che la turbò moltissimo. Sognò che la Bestia era distesa a terra,
in riva a un torrente, in fin di vita.
“Sono un’orribile ingrata”
si disse, svegliandosi in lacrime. “L’ho ingannato. Sono stata cattiva
con lui, che invece è stato così buono con me e mi ha dato la sua
fiducia. Voglio tornare da lui e sposarlo. Non sarà bello, ma le mie
sorelle sono infelici pur avendo accanto uomini belli. La sua bontà
compensa mille volte la sua bruttezza.”
Posò l’anello sul comodino e si riaddormentò.
Il mattino dopo, Bella si ritrovò nel palazzo della Bestia. Scelse il
vestito più bello, si adornò i capelli e attese impaziente che venisse
la sera per rivedere il suo amato ospite. Ma quando l’orologio batté le
nove, la Bestia non comparve. Bella attese, ma lui non venne. Pensando
al peggio, visitò tutte le stanze del palazzo, cercandolo. Alla fine lo
chiamò e lo chiamò: invano. All’improvviso si ricordò del sogno e corse a
cercarlo in giardino. La Bestia giaceva in fondo al viale alberato,
accanto al ruscello. “Non morire” gridò Bella, cadendo in ginocchio.
Rinfrescò il viso del mostro con l’acqua e lo bagnò con le sue lacrime, e
l’essere riaprì gli occhi. “Quanto mi hai fatto aspettare” le sussurrò
con un debole sorriso. “Io non potevo più vivere senza di te, ma ora sei
qui e posso morire felice.” “No, ti prego” singhiozzò la fanciulla,
“non devi morire. Io voglio diventare tua sposa. Io ti amo!”
A
quelle parole ci fu un grande bagliore e un rombo di tuono. Per un
attimo la luce accecante cancellò l’immagine della Bestia agli occhi di
Bella, e quando la fanciulla tornò a vedere, il mostro non c’era più: al
suo posto c’era un bellissimo giovane.
“Dimmi, dunque, dov’è la Bestia?” lo supplicò Bella, disperata.
“La Bestia ero io” disse il giovane, alzandosi. “L’incantesimo di un
mago mi aveva trasformato in quell’orrendo mostro, e solo l’amore
sincero di una fanciulla mi avrebbe salvato. Tu hai fatto il miracolo.
Mi vuoi ancora sposare?” Bella accettò con gioia, e il principe
continuò: “Una volta, in sogno, ti avevo fatto sapere che la tua bontà
d’animo sarebbe stata ricompensata. Tu diventerai una principessa e
sarai sempre al mio fianco, e tuo padre vivrà con noi. Quanto alle tue
sorelle, la loro invidia e la loro crudeltà meritano una punizione.”
Così le due sorelle furono tramutate in statue, destinate a restare di
pietra finché il loro cuore non si fosse sciolto per il pentimento.
Bella sposò il principe e i due vissero nella gioia per molti anni.