C'è stato un periodo un paio di mesi fa, che il mio pastrugno voleva che gli leggessi spesso questa fiaba... ultimamente invece non gliela leggo più perchè poi lo intristisce...
C’era
una volta un bellissimo giardino. Apparteneva a un gigante, ma da
alcuni anni lui era lontano e così quello era diventato il giardino dei
bambini del villaggio.
Ogni pomeriggio, quando uscivano da scuola, i bambini andavano lì a giocare, perché non c’era posto più bello dove passare il tempo e divertirsi.
Il giardino aveva l’erba più soffice e più bella dei giardini di tutti i villaggi vicini. In primavera sulle siepi e nelle aiuole sbocciavano i fiori più profumati, mentre in autunno gli alberi erano sempre carichi di frutti succosi.
Usignoli, pettirossi, cince e merli lo sceglievano per abitarci e farci il nido. Chi passava di lì sentiva le grida allegre dei bambini che giocavano e le gare di canto degli uccelli.
“Come stiamo bene qui. E’ il posto più bello del mondo” dicevano i bambini del villaggio, e non appena avevano un po’ di tempo correvano nel giardino e vi rimanevano fino al tramonto.
Un giorno il Gigante tornò. Era stato via per ben sette anni, trascorsi in visita da un amico, l’Orco di Cornovaglia. Ma sette anni sono lunghi anche per le amicizie più strette, e dopo tutto quel tempo i due amici non avevano più niente da dirsi né da raccontarsi. Quando arrivò a casa sua, il Gigante vide per prima cosa i bambini che stavano giocando nel giardino. “Chi vi ha dato il permesso di venire qui?” tuonò. “Sono io il padrone di questo giardino, e nessuno può entrare senza il mio permesso.”
I bambini, che non avevano mai visto un gigante, per di più infuriato, si spaventarono a tal punto che fuggirono via.
“Il giardino è solo mio: questo lo capirebbe anche uno sciocco. Non permetterò mai più a nessuno di venire qui a giocare” sbraitò ancora il Gigante. E per tenere fede alle sue parole, costruì un alto muro tutto intorno al giardino, cosicchè nessuno potesse mai più mettervi piede, e appese al cancello anche un grande cartello che diceva:
Giardino del Gigante.
E’ severamente vietato entrare.
I trasgressori saranno puniti.
Era un gigante molto, molto egoista. I poveri bambini non avevano più un posto dove andare a giocare. Certo, rimanevano le strade e i campi sassosi attorno al villaggio, ma non era la stessa cosa. Sulle strade passavano i carri, c’era tanta gente, e poi erano strette e polverose e non si poteva correre liberi come nel giardino.
Tutti i giorni, che ci fosse il sole o piovesse, quando la campanella della scuola suonava, i bambini andavano fuori dalle mura del giardino e bighellonavano lì intorno, nella speranza che il Gigante si commuovesse e aprisse loro il cancello.
“Però, come era bello giocare lì dentro…” si dicevano sospirando, e dopo un ultimo, inutile giro se ne andavano sconsolati.
Arrivò l’inverno, e poi di nuovo la primavera. Le rondini tornarono nel villaggio e i primi fiori sbocciarono. Solo nel giardino del Gigante era ancora inverno. Gli uccellini decisero di non farvi più il nido in segno di protesta, perché i bambini non ci andavano più. Gli alberi e le siepi, dal canto loro, si dimenticarono di fiorire, e non spuntò nemmeno il più piccolo germoglio. Solo una margherita un po’ sbadata decise di uscire, ma non appena fece capolino e vide il giardino innevato e l’aria gelida le sfiorò i petali, con un brivido di freddo si ricacciò sotto terra e riprese a dormire, in attesa di un raggio di sole.
Gli unici a essere contenti erano la Neve e il Gelo. Si sentivano i padroni, ormai. “La primavera si è dimenticata di questo giardino, per nostra fortuna” dicevano soddisfatti. “Vorrà dire che ci trasferiremo qui per tutto l’anno.” E così la Neve prese il suo bianco mantello e ricoprì tutto il prato e infiocchettò la cima degli alberi. Il Gelo invece si occupò degli ornamenti e intrecciò trine luccicanti su ogni ramo. Poi, siccome si sentivano un po’ soli e amavano la compagnia, invitarono anche un lontano cugino, il Vento del Nord, a trascorrere le vacanze con loro. Il Vento arrivò avvolto in una grande pelliccia, e poiché era un chiacchierone, prese a ruggire a gran voce dal mattino alla sera, raccontando le storie dei suoi viaggi. Con un colpo di tosse fece perfino crollare tutti i comignoli della casa. “Qui si sta bene” disse. “Perché non invitiamo anche nostra cugina, la Grandine? Lei è così vivace…”
E quando la Grandine arrivò in visita, era tutta vestita di grigio e sputava chicchi di gelo. Fu così entusiasta dall’accoglienza che si mise a correre per tutto il giardino e tamburellò sui tetti, finchè non ruppe tutte le tegole.
“Perché la primavera tarda tanto a venire?” si chiedeva il Gigante, chiuso in casa, guardando fuori dalla finestra. Sperava tanto di vedere un raggio di sole posarsi sul suo desolato giardino di ghiaccio. Fuori dalle mura l’estate aveva già dato il cambio alla primavera, e l’autunno all’estate, ma non nel giardino del Gigante. Lì era sempre inverno, e il Vento del Nord, la Grandine, la Neve e il Gelo festeggiavano e ballavano tra gli alberi rattrappiti.
Un mattino, mentre se ne stava rannicchiato nel suo letto cercando un po’ di calore, il Gigante sentì una musica. Era così dolce e melodiosa che pensò si trattasse della banda del re che passava lì accanto. Ascoltò con più attenzione e riconobbe il suono. Era la voce di un cardellino che cantava felice sul davanzale. Il Gigante ne fu rapito: da lungo tempo gli uccellini non erano più ospiti del suo giardino, e quel canto gli parve la musica più bella del mondo. Il suo cuore ebbe un sussulto di tenerezza. Allora si accorse che la Grandine aveva smesso di tempestare il tetto e il Vento del Nord non fischiava più rabbioso. Un profumo leggero e buono lo raggiunse dalle finestre spalancate da un soffio gentile. “La primavera! Dev’essere arrivata la primavera!” esclamò. Saltò giù dal letto e corse alla finestra a vedere. Davanti ai suoi occhi si presentò uno spettacolo stupendo. Da una piccola breccia nel muro, probabilmente aperta dalle danze selvagge di Grandine e Vento, erano sgattaiolati dentro i bambini ed erano dappertutto. Alcuni si erano arrampicati sugli alberi e appollaiati sui rami; e gli alberi erano così contenti di rivederli che per la gioia fiorirono di colpo, e agitarono le braccia vestite di foglie sulle loro testoline, in un silenzioso applauso. Altri uccelli erano arrivati e cinguettavano allegri, volteggiando nel cielo, e i fiori erano spuntati anche sul prato e ondeggiavano felici alla brezza.
Solo in un angolo era ancora inverno.
Era l’angolo più lontano e remoto del giardino e lì, quasi nascosto, c’era un bambino. Si intravedeva a malapena, perché era molto piccolo e cercava di arrampicarsi su un albero, ma a ogni tentativo scivolava giù. L’albero piegava i suoi rami più che poteva, perché desiderava che il bambino si arrampicasse su di lui. “Dai, sali. Su, ce la fai” sembrava dirgli. Ma lì la Neve, il Ghiaccio e il Vento si accanivano ancora, e il bambino era davvero troppo piccolo per farcela da solo. Però non si voleva arrendere. A quella vista, il cuore del Gigante si intenerì. “Che grande e sciocco egoista sono stato” si disse il Gigante. “Ho impedito ai bambini di giocare nel mio giardino. Ora so perché la primavera si rifiutava di venire. Aiuterò quel bimbo a salire sull’albero e abbatterò il muro e lascerò che i bambini vengano a giocare quando vogliono.”
Scese al piano di sotto e piano piano, senza far rumore, aprì la porta di casa e fece qualche passo in giardino, con cautela, perché non voleva spaventare i bambini. Ma uno di loro lo vide e strillò, e allora anche gli altri si accorsero della sua presenza, e poiché erano convinti che fosse uscito per sgridarli, scapparono spaventati. Nel giardino ripiombò subito l’inverno. Solo il piccolino non fuggì, perché era così intento nella sua impresa che non aveva sentito il Gigante né le grida dei compagni di gioco. Così il Gigante si avvicinò in silenzio, lo prese in una mano, lo sollevò delicatamente e lo mise seduto su un ramo. E subito il ramo e poi tutto l’albero si ricoprirono di fiori bianchi, e i passeri vi si posarono a frotte. Il bambino fu così felice che in uno slancio di riconoscenza, senza timore, tese le braccia e strinse forte il Gigante e gli schioccò un grosso bacio sulla guancia.
Gli altri bambini, che spiavano la scena dal pertugio nel muro, quando videro che il Gigante non era poi così cattivo, si fecero avanti, prima timorosi, poi sfrenati. E al loro passaggio la primavera esplose.
“Bambini, ve lo prometto, ora il giardino è tutto vostro” li rassicurò il Gigante, e scoppiò in una risata fragorosa. Poi andò a prendere un piccone e abbatté il muro, e non si fermò finché non fu caduta anche l’ultima pietra. Quel giorno la gente che passava di lì per andare al mercato vide uno spettacolo sbalorditivo, così straordinario che molti si fermarono a guardare a bocca aperta. Il Gigante, proprio lui, così grande, solitario ed egoista, giocava a moscacieca coi bambini. I monelli gli tiravano le braccia e le gambe, gli saltavano addosso, e lui invece di arrabbiarsi rideva di cuore. Giocarono insieme per tutto il giorno, e la sera i bambini corsero da lui per salutarlo. “Ciao, Gigante, ci vediamo domattina” dissero in coro. “Bravi, bambini, a domattina. Ma dov’è il vostro amico, il piccolino che ho aiutato a salire sull’albero? Voglio salutarlo” disse il Gigante. Quel bimbo gli era entrato subito nel cuore. “Non lo sappiamo, non c’è più. Dev’essere andato via mentre giocavamo a nasconderci” rispose un ragazzino. “Be’, se lo vedete, ditegli di venire qui domattina.” Ma i bambini dissero che era la prima volta che lo vedevano, che non sapevano come avvertirlo perché non avevano idea di dove abitasse: non l’avevano mai visto prima. Il Gigante sentì una punta di dispiacere, perché desiderava proprio rivedere il piccolo.
Da quel momento fu sempre molto gentile e buono con tutti i bambini, ma il suo piccolo amico gli mancava, e spesso diceva, sospirando: “Mi piacerebbe proprio rivederlo.”
Passarono gli anni, e il Gigante invecchiò. Era ormai così vecchio e così debole che non poteva più prendere parte ai giochi dei bambini. Non riusciva più a correre con loro né a sollevarli in alto per metterli sugli alberi. Però nella bella stagione portava una poltrona in giardino, si sedeva e guardava giocare i piccoli, ed era felice di poterli osservare e di sentire le loro risa. “Ho un gran bel giardino” pensava, “ho i fiori più belli di tutto il villaggio, e i bambini sono i fiori più belli di tutti.” Ma il pensiero del bimbo piccolo che gli aveva spalancato il cuore non lo lasciava mai.
Una mattina d’inverno, il Gigante diede un’occhiata distratta fuori dalla finestra. Ormai aveva imparato ad amare anche l’inverno, perché sapeva che in quel periodo i fiori riposavano per prepararsi alla primavera.
Tutt’a un tratto, qualcosa colpì la sua attenzione. Guardò meglio, si strofinò gli occhi e guardò ancora. Là, nell’angolo più lontano del giardino, nello stesso punto dove tanti anni prima aveva visto il suo piccolo amico, l’albero era coperto di meravigliosi fiori bianchi. Era inverno, e tutto il giardino era coperto di neve. Solo quell’albero era fiorito, e i suoi rami, che rilucevano ai raggi del sole, erano carichi di frutti d’oro e d’argento. E sotto, tra i rami fioriti, c’era il bambino che lui non aveva più rivisto, il bambino che gli era sempre rimasto nel cuore, il prediletto.
Il Gigante si precipitò di sotto e uscì in giardino. Poi attraversò il prato coperto di neve, correndo incontro al bambino. E quando gli giunse accanto e stava per abbracciarlo, si fermò di colpo, e il suo viso si accese di collera. “Chi ha osato farti del male? Chi ti ha fatto quei segni?” gridò, perché sulle mani del bambino c’erano due ferite, e così anche sui suoi piedini nudi. “Dimmi chi ha osato ferirti” urlò il Gigante, “e io prenderò la mia spada e lo ucciderò.” “No, non devi, perché questi sono i segni dell’amore” sussurrò il bambino.
“Ma tu chi sei?” disse il Gigante, preso da uno strano timore. E guardando il bambino con occhi stupiti, cadde in ginocchio davanti a lui. Il bambino sorrise e disse al Gigante: “Tanti anni fa, tu sei stato buono con me e hai permesso che io giocassi nel tuo giardino. Oggi verrai tu a giocare con me nel mio giardino, che è il Paradiso.” Tese la manina e diede una carezza al Gigante. Poi lo abbracciò forte…
Quel pomeriggio i bambini uscirono da scuola e corsero come al solito nel giardino per giocare a palle di neve. Chiamarono il Gigante, ma non ebbero risposta. “Gigante, dove sei? Dai, vieni fuori, siamo qui.”
Ma quando si addentrarono tra le piante, lo videro.
Il loro grande amico era disteso sotto l’albero fiorito, ed era ricopero di candidi petali.
Il suo viso era felice e sorridente, e sembrava addormentato.
Ogni pomeriggio, quando uscivano da scuola, i bambini andavano lì a giocare, perché non c’era posto più bello dove passare il tempo e divertirsi.
Il giardino aveva l’erba più soffice e più bella dei giardini di tutti i villaggi vicini. In primavera sulle siepi e nelle aiuole sbocciavano i fiori più profumati, mentre in autunno gli alberi erano sempre carichi di frutti succosi.
Usignoli, pettirossi, cince e merli lo sceglievano per abitarci e farci il nido. Chi passava di lì sentiva le grida allegre dei bambini che giocavano e le gare di canto degli uccelli.
“Come stiamo bene qui. E’ il posto più bello del mondo” dicevano i bambini del villaggio, e non appena avevano un po’ di tempo correvano nel giardino e vi rimanevano fino al tramonto.
Un giorno il Gigante tornò. Era stato via per ben sette anni, trascorsi in visita da un amico, l’Orco di Cornovaglia. Ma sette anni sono lunghi anche per le amicizie più strette, e dopo tutto quel tempo i due amici non avevano più niente da dirsi né da raccontarsi. Quando arrivò a casa sua, il Gigante vide per prima cosa i bambini che stavano giocando nel giardino. “Chi vi ha dato il permesso di venire qui?” tuonò. “Sono io il padrone di questo giardino, e nessuno può entrare senza il mio permesso.”
I bambini, che non avevano mai visto un gigante, per di più infuriato, si spaventarono a tal punto che fuggirono via.
“Il giardino è solo mio: questo lo capirebbe anche uno sciocco. Non permetterò mai più a nessuno di venire qui a giocare” sbraitò ancora il Gigante. E per tenere fede alle sue parole, costruì un alto muro tutto intorno al giardino, cosicchè nessuno potesse mai più mettervi piede, e appese al cancello anche un grande cartello che diceva:
Giardino del Gigante.
E’ severamente vietato entrare.
I trasgressori saranno puniti.
Era un gigante molto, molto egoista. I poveri bambini non avevano più un posto dove andare a giocare. Certo, rimanevano le strade e i campi sassosi attorno al villaggio, ma non era la stessa cosa. Sulle strade passavano i carri, c’era tanta gente, e poi erano strette e polverose e non si poteva correre liberi come nel giardino.
Tutti i giorni, che ci fosse il sole o piovesse, quando la campanella della scuola suonava, i bambini andavano fuori dalle mura del giardino e bighellonavano lì intorno, nella speranza che il Gigante si commuovesse e aprisse loro il cancello.
“Però, come era bello giocare lì dentro…” si dicevano sospirando, e dopo un ultimo, inutile giro se ne andavano sconsolati.
Arrivò l’inverno, e poi di nuovo la primavera. Le rondini tornarono nel villaggio e i primi fiori sbocciarono. Solo nel giardino del Gigante era ancora inverno. Gli uccellini decisero di non farvi più il nido in segno di protesta, perché i bambini non ci andavano più. Gli alberi e le siepi, dal canto loro, si dimenticarono di fiorire, e non spuntò nemmeno il più piccolo germoglio. Solo una margherita un po’ sbadata decise di uscire, ma non appena fece capolino e vide il giardino innevato e l’aria gelida le sfiorò i petali, con un brivido di freddo si ricacciò sotto terra e riprese a dormire, in attesa di un raggio di sole.
Gli unici a essere contenti erano la Neve e il Gelo. Si sentivano i padroni, ormai. “La primavera si è dimenticata di questo giardino, per nostra fortuna” dicevano soddisfatti. “Vorrà dire che ci trasferiremo qui per tutto l’anno.” E così la Neve prese il suo bianco mantello e ricoprì tutto il prato e infiocchettò la cima degli alberi. Il Gelo invece si occupò degli ornamenti e intrecciò trine luccicanti su ogni ramo. Poi, siccome si sentivano un po’ soli e amavano la compagnia, invitarono anche un lontano cugino, il Vento del Nord, a trascorrere le vacanze con loro. Il Vento arrivò avvolto in una grande pelliccia, e poiché era un chiacchierone, prese a ruggire a gran voce dal mattino alla sera, raccontando le storie dei suoi viaggi. Con un colpo di tosse fece perfino crollare tutti i comignoli della casa. “Qui si sta bene” disse. “Perché non invitiamo anche nostra cugina, la Grandine? Lei è così vivace…”
E quando la Grandine arrivò in visita, era tutta vestita di grigio e sputava chicchi di gelo. Fu così entusiasta dall’accoglienza che si mise a correre per tutto il giardino e tamburellò sui tetti, finchè non ruppe tutte le tegole.
“Perché la primavera tarda tanto a venire?” si chiedeva il Gigante, chiuso in casa, guardando fuori dalla finestra. Sperava tanto di vedere un raggio di sole posarsi sul suo desolato giardino di ghiaccio. Fuori dalle mura l’estate aveva già dato il cambio alla primavera, e l’autunno all’estate, ma non nel giardino del Gigante. Lì era sempre inverno, e il Vento del Nord, la Grandine, la Neve e il Gelo festeggiavano e ballavano tra gli alberi rattrappiti.
Un mattino, mentre se ne stava rannicchiato nel suo letto cercando un po’ di calore, il Gigante sentì una musica. Era così dolce e melodiosa che pensò si trattasse della banda del re che passava lì accanto. Ascoltò con più attenzione e riconobbe il suono. Era la voce di un cardellino che cantava felice sul davanzale. Il Gigante ne fu rapito: da lungo tempo gli uccellini non erano più ospiti del suo giardino, e quel canto gli parve la musica più bella del mondo. Il suo cuore ebbe un sussulto di tenerezza. Allora si accorse che la Grandine aveva smesso di tempestare il tetto e il Vento del Nord non fischiava più rabbioso. Un profumo leggero e buono lo raggiunse dalle finestre spalancate da un soffio gentile. “La primavera! Dev’essere arrivata la primavera!” esclamò. Saltò giù dal letto e corse alla finestra a vedere. Davanti ai suoi occhi si presentò uno spettacolo stupendo. Da una piccola breccia nel muro, probabilmente aperta dalle danze selvagge di Grandine e Vento, erano sgattaiolati dentro i bambini ed erano dappertutto. Alcuni si erano arrampicati sugli alberi e appollaiati sui rami; e gli alberi erano così contenti di rivederli che per la gioia fiorirono di colpo, e agitarono le braccia vestite di foglie sulle loro testoline, in un silenzioso applauso. Altri uccelli erano arrivati e cinguettavano allegri, volteggiando nel cielo, e i fiori erano spuntati anche sul prato e ondeggiavano felici alla brezza.
Solo in un angolo era ancora inverno.
Era l’angolo più lontano e remoto del giardino e lì, quasi nascosto, c’era un bambino. Si intravedeva a malapena, perché era molto piccolo e cercava di arrampicarsi su un albero, ma a ogni tentativo scivolava giù. L’albero piegava i suoi rami più che poteva, perché desiderava che il bambino si arrampicasse su di lui. “Dai, sali. Su, ce la fai” sembrava dirgli. Ma lì la Neve, il Ghiaccio e il Vento si accanivano ancora, e il bambino era davvero troppo piccolo per farcela da solo. Però non si voleva arrendere. A quella vista, il cuore del Gigante si intenerì. “Che grande e sciocco egoista sono stato” si disse il Gigante. “Ho impedito ai bambini di giocare nel mio giardino. Ora so perché la primavera si rifiutava di venire. Aiuterò quel bimbo a salire sull’albero e abbatterò il muro e lascerò che i bambini vengano a giocare quando vogliono.”
Scese al piano di sotto e piano piano, senza far rumore, aprì la porta di casa e fece qualche passo in giardino, con cautela, perché non voleva spaventare i bambini. Ma uno di loro lo vide e strillò, e allora anche gli altri si accorsero della sua presenza, e poiché erano convinti che fosse uscito per sgridarli, scapparono spaventati. Nel giardino ripiombò subito l’inverno. Solo il piccolino non fuggì, perché era così intento nella sua impresa che non aveva sentito il Gigante né le grida dei compagni di gioco. Così il Gigante si avvicinò in silenzio, lo prese in una mano, lo sollevò delicatamente e lo mise seduto su un ramo. E subito il ramo e poi tutto l’albero si ricoprirono di fiori bianchi, e i passeri vi si posarono a frotte. Il bambino fu così felice che in uno slancio di riconoscenza, senza timore, tese le braccia e strinse forte il Gigante e gli schioccò un grosso bacio sulla guancia.
Gli altri bambini, che spiavano la scena dal pertugio nel muro, quando videro che il Gigante non era poi così cattivo, si fecero avanti, prima timorosi, poi sfrenati. E al loro passaggio la primavera esplose.
“Bambini, ve lo prometto, ora il giardino è tutto vostro” li rassicurò il Gigante, e scoppiò in una risata fragorosa. Poi andò a prendere un piccone e abbatté il muro, e non si fermò finché non fu caduta anche l’ultima pietra. Quel giorno la gente che passava di lì per andare al mercato vide uno spettacolo sbalorditivo, così straordinario che molti si fermarono a guardare a bocca aperta. Il Gigante, proprio lui, così grande, solitario ed egoista, giocava a moscacieca coi bambini. I monelli gli tiravano le braccia e le gambe, gli saltavano addosso, e lui invece di arrabbiarsi rideva di cuore. Giocarono insieme per tutto il giorno, e la sera i bambini corsero da lui per salutarlo. “Ciao, Gigante, ci vediamo domattina” dissero in coro. “Bravi, bambini, a domattina. Ma dov’è il vostro amico, il piccolino che ho aiutato a salire sull’albero? Voglio salutarlo” disse il Gigante. Quel bimbo gli era entrato subito nel cuore. “Non lo sappiamo, non c’è più. Dev’essere andato via mentre giocavamo a nasconderci” rispose un ragazzino. “Be’, se lo vedete, ditegli di venire qui domattina.” Ma i bambini dissero che era la prima volta che lo vedevano, che non sapevano come avvertirlo perché non avevano idea di dove abitasse: non l’avevano mai visto prima. Il Gigante sentì una punta di dispiacere, perché desiderava proprio rivedere il piccolo.
Da quel momento fu sempre molto gentile e buono con tutti i bambini, ma il suo piccolo amico gli mancava, e spesso diceva, sospirando: “Mi piacerebbe proprio rivederlo.”
Passarono gli anni, e il Gigante invecchiò. Era ormai così vecchio e così debole che non poteva più prendere parte ai giochi dei bambini. Non riusciva più a correre con loro né a sollevarli in alto per metterli sugli alberi. Però nella bella stagione portava una poltrona in giardino, si sedeva e guardava giocare i piccoli, ed era felice di poterli osservare e di sentire le loro risa. “Ho un gran bel giardino” pensava, “ho i fiori più belli di tutto il villaggio, e i bambini sono i fiori più belli di tutti.” Ma il pensiero del bimbo piccolo che gli aveva spalancato il cuore non lo lasciava mai.
Una mattina d’inverno, il Gigante diede un’occhiata distratta fuori dalla finestra. Ormai aveva imparato ad amare anche l’inverno, perché sapeva che in quel periodo i fiori riposavano per prepararsi alla primavera.
Tutt’a un tratto, qualcosa colpì la sua attenzione. Guardò meglio, si strofinò gli occhi e guardò ancora. Là, nell’angolo più lontano del giardino, nello stesso punto dove tanti anni prima aveva visto il suo piccolo amico, l’albero era coperto di meravigliosi fiori bianchi. Era inverno, e tutto il giardino era coperto di neve. Solo quell’albero era fiorito, e i suoi rami, che rilucevano ai raggi del sole, erano carichi di frutti d’oro e d’argento. E sotto, tra i rami fioriti, c’era il bambino che lui non aveva più rivisto, il bambino che gli era sempre rimasto nel cuore, il prediletto.
Il Gigante si precipitò di sotto e uscì in giardino. Poi attraversò il prato coperto di neve, correndo incontro al bambino. E quando gli giunse accanto e stava per abbracciarlo, si fermò di colpo, e il suo viso si accese di collera. “Chi ha osato farti del male? Chi ti ha fatto quei segni?” gridò, perché sulle mani del bambino c’erano due ferite, e così anche sui suoi piedini nudi. “Dimmi chi ha osato ferirti” urlò il Gigante, “e io prenderò la mia spada e lo ucciderò.” “No, non devi, perché questi sono i segni dell’amore” sussurrò il bambino.
“Ma tu chi sei?” disse il Gigante, preso da uno strano timore. E guardando il bambino con occhi stupiti, cadde in ginocchio davanti a lui. Il bambino sorrise e disse al Gigante: “Tanti anni fa, tu sei stato buono con me e hai permesso che io giocassi nel tuo giardino. Oggi verrai tu a giocare con me nel mio giardino, che è il Paradiso.” Tese la manina e diede una carezza al Gigante. Poi lo abbracciò forte…
Quel pomeriggio i bambini uscirono da scuola e corsero come al solito nel giardino per giocare a palle di neve. Chiamarono il Gigante, ma non ebbero risposta. “Gigante, dove sei? Dai, vieni fuori, siamo qui.”
Ma quando si addentrarono tra le piante, lo videro.
Il loro grande amico era disteso sotto l’albero fiorito, ed era ricopero di candidi petali.
Il suo viso era felice e sorridente, e sembrava addormentato.
Grazie era tanto tempo che non leggevo questa storia, a mia figlia è piaciuta moltissimo anche se è ancora troppo piccola per averla capita del tutto
RispondiEliminaanche al mio "pastrugno" è piaciuta molto e per un po' di volte ha voluto che gliela leggessi... poi però ha iniziato a capire e ...lo rattristava un po' la fine del Gigante che diventa buono ma...muore... ;)
EliminaGrazie per queste fiabe.la sera le leggiamo sempre con tanto entusiasmo.piacciono tanto anche a me che ormai nn sono piu una bambina😊
RispondiEliminaGrazie per queste fiabe.la sera le leggiamo sempre con tanto entusiasmo. Piacciono tanto anche a me che ormai non sono più una bambina 😊
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