Un vecchio mugnaio, sentendosi prossimo alla fine dei suoi
giorni, fece chiamare i suoi tre figli per dividere fra loro quel che aveva. – Figlio mio – disse rivolgendosi al maggiore
– a te che sei il primo dei miei figli spetta il mulino: continuerai la
tradizione di famiglia e macinerai farina per tutte le famiglie del villaggio –
stabilì. – A te che sei il secondo – proseguì quindi rivolgendosi al figlio di
mezzo – lascio il mio somaro: col suo aiuto dovrai crearti un lavoro con cui tu
possa sfamare te stesso e la tua famiglia – disse il padre. – E a te – sussurrò
sempre più debolmente il genitore al terzo figlio dopo averlo a lungo e intensamente
guardato – a te lascio il mio gatto.
Questi aspettava che il padre proseguisse, ma quello
continuava a guardarlo senza dire più nulla. – Un gatto, padre? – si sentì costretto a chiedere il terzo figlio. – E
come potrò guadagnarmi da vivere con un gatto?! – si lamentò. – Ai miei
fratelli hai lasciato … - ma, prima che proseguisse oltre e pronunciasse parole
lamentose, il vecchio padre alzò una mano come a dire “Fermati” e tanto bastò
al figlio per tacere. – Tu avrai uguale e miglior fortuna dei tuoi fratelli. Io ho molta fiducia
in te – proseguì amorevolmente il padre, e il figlio, nel suo cuore,
gli credette e smise di chiedere.
“Ma sì” pensò in cuor suo “qualcosa succederà e io troverò
il modo per vivere bene” e abbozzò un sorriso.
Ed io sorrido a te,
padre buono,
perché fra tutti hai
lasciato il più prezioso dono,
quello che tuo figlio
mai potrà scordare,
anche quando i tuoi
consigli non potrà più ascoltare.
La tua fiducia gli
darà il coraggio
di affrontare
qualunque tempo in non importa quale viaggio.
E, lo sapevi?, è
proprio grazie a questo dono
che un ragazzo
diventa … un uomo.
I primi due figli del mugnaio erano molto contenti
dell’eredità ricevuta e già progettavano: - Potremmo fare una bella Società. Tu
col tuo somaro, io col mio mulino potremmo organizzare un servizio di consegna
a domicilio per i clienti. Così oltre al prezzo della farina potremmo far
pagare una somma aggiuntiva … e diventeremo ricchi nel giro di pochi anni!
Il figlio più piccolo, invece, guardò il suo gatto e gli
disse: - Per certo sei un gatto dal buon carattere ed io ti voglio bene … ma
come farò a guadagnarmi da vivere con te? Proprio non lo capisco. Meglio per te
che tu te ne vada e mi lasci solo, perché per come sono messe le cose io posso
garantirti solo tre cose: freddo d’inverno, caldo d’estate e … fame tutto
l’anno!
Il gatto, che fino a quel momento tutti avevano solo visto
sonnecchiare vicino alla poltrona del suo padrone, improvvisamente si tirò su
due zampe, strizzò l’occhio al ragazzo e prese a parlare così: - E che gatto di
fiducia sarei allora? Come posso deludere così i desideri di tuo padre? Tu,
caro mio, devi fare solo due cose: procurarmi un paio di stivali e poi …
affidarti al mio ingegno! – e nel dir questo si passò lentamente una zampa sui
baffi per stirarseli e lucidarseli. E poi aggiunse: - Fame? Altro che fame! Se
ti affidi a me, fra tre mesi saremo a corte!
Il ragazzo, intanto, era rimasto come impietrito: la bocca
spalancata, gli occhi sgranati e non un solo muscolo che si muoveva. Chi aveva
mai sentito parlare un gatto? Un gatto che voleva degli stivali poi … davvero
incredibile!
Tuttavia, qualcosa nel suo modo così elegante ispirava
sicurezza e il giovanotto … decise di credergli! Sì: decise di avere fiducia in
lui! Del resto
quel gatto era un regalo di suo padre, come avrebbe potuto dubitare della sua
eccezionale natura?
Così, non appena riuscì a riaversi dallo stupore, farfugliò
un – Avrai i tuoi stivali, gatto! – e fu ricambiato da un largo sorriso
dell’astuto animale: erano diventati amici.
Di lì a poco il ragazzo si recò al monte di pietà, impegnò
il suo bel mantello di panno, l’unica cosa che possedeva, e col ricavato
comperò un bel paio di stivali nuovi e lucidi per il gatto. – E ora – sentenziò
il gatto – cominciamo. Andiamo! – e invitò il giovane a uscire di casa.
Passeggiarono per un lungo tratto lungo la strada finché il
gatto … - Tu aspettami qui – disse indicando l’ombra ai piedi di un grosso
albero. Il giovano si sdraiò, incrociò le dita dietro la nuca e prese a godersi
il fresco dell’estate che stava appena nascendo e il cinguettare festoso degli
uccellini.
Il gatto, intanto, aveva già architettato il suo piano.
Indossò i suoi nuovissimi stivali, partì per la caccia e, da quell’abile
cacciatore che era, non gli ci volle molto per tornare, dopo nemmeno un’ora,
con una grossa lepre nel sacco. – Si mangia finalmente! – esclamò il ragazzo
esultando. – Al tempo padroncino, al tempo … - disse il gatto sfilando
abilmente di mano il sacco di cui il ragazzo si era impadronito. – Impara l’attesa …
non sempre quel che desideriamo arriva subito nelle nostre mani! –
disse il gatto con molta serietà. E nel dir questo invitò il giovane a
ritornare all’ombra fresca e si avviò verso la reggia per presentarsi … al Re.
Arrivato che fu, si prosternò ai piedi del trono e, tenendo
lo sguardo basso in segno di gran rispetto, tirò fuori la lepre e l’offrì al Re
dicendo: - Ecco, Maestà: il mio signore, il Marchese di Carabas, invia me, suo
umile servo, a recapitarvi questo piccolo omaggio … nella speranza che possa
rallegrare la vostra tavola.
Il gatto sapeva, e lo sapevano tutti i sudditi del regno,
che il Re era un buongustaio. Il dono fu accettato con gran piacere. Il sovrano
aveva una sola domanda da porre al buon servo, che però … era già svanito nel
nulla. – Figlia – disse il Re – tu conosci il Marchese di Carabas? Io non l’ho
mai sentito nominare, né so dove abita: vorrei tanto ringraziarlo per il suo
gentile dono ma … come fare?
La principessa sua figlia, che era rimasta molto ben
impressionata dalle parole del gatto, rispose: - Non l’ho mai sentito nominare,
padre – ma in cuor suo rimase una certa curiosità.
Il gatto intanto era già fuori a procurare la cena per sé e
per il suo padrone. La mattina seguente, proprio all’ora della colazione reale,
ecco rispuntare il gatto! Stavolta teneva fra le zampe quattro fagiani dorati.
– Eccelsa Maestà, il mio padrone, il Marchese di Carabas, mi manda a omaggiarvi
di questi deliziosi fagiani, affinché Voi possiate gustarli a colazione!
E, quasi senza aspettare i ringraziamenti del Re, un istante
dopo … era già scomparso!
Il Re sfogliò tutto il libro della Nobiltà nell’inutile
ricerca di quel nobile Marchese … ma niente: il suo libro non riportava alcun
“Marchese di Carabas”. Il piccolo mistero cominciò a incuriosire seriamente il
Re! E anche la principessa sua figlia … che a quello sconosciuto Marchese pensò
per tutto il giorno!
Per un mese intero, almeno una volta al giorno, piccoli
cinghiali, lepri prelibate, uova di tortora e molte e svariate delizie
culinarie … vennero recapitate al Re per conto del Marchese di Carabas dal
fedele gatto-servo!
Il Re era davvero impressionato dalla ricchezza di quel
nobiluomo: se poteva permettersi tali e tanti doni … certamente era molto
ricco.
Malgrado le sue ricerche, ormai quotidiane, non aveva però
trovato nessuna notizia sul misterioso Marchese!
Venne luglio. Il gran caldo aveva fatto maturare il grano
nei campi.
Una mattina il gatto, sapendo che il Re sarebbe uscito con
la figlia per fare un giro rinfrescante sulla carrozza dorata, svegliò presto
il padrone che dormiva sotto un pino e, tutto eccitato, gli disse: - Presto,
presto, padroncino! Spogliati dei tuoi stracci e immergiti nel laghetto, tra
poco passerà di qui la carrozza reale! – Ma io non so nuotare! – ribatté il
ragazzo allibito.
Per poterti purificare…
non devi certo saper nuotare!
Se vuoi aprir la porta alle novità
la ricetta eccola qua:
i vecchi stracci tu lasciali andare,
così abiti nuovi e splendenti potranno arrivare.
Lascia che l’acqua si porti via
ogni possibile malinconia!
All’esistenza dà una mano
ma in fretta, perché … arriva il sovrano!
Presto padroncino, presto! – insistette il gatto. – Abbi
fiducia in me. Tu devi solo sederti in mezzo al lago, vedrai che non è molto
profondo. E’ sufficiente che tu tenga fuori la testa, in modo tale che la
principessa possa vederti! – Come la
principessa? – ribatté il giovane ancora più agitato. – Non mi avevi
parlato della principessa, io … - Non c’è più tempo, padrone … cosa vuoi fare? –
lo interruppe il gatto con fare sbrigativo.
Esiste il tempo per dubitare, ma non è questo. Ora devi… andare!
Quando il suo padrone discese finalmente nell’acqua, il buon
gatto corse incontro alla carrozza reale, si gettò in mezzo alla strada,
cominciò a disperarsi, a mettersi le zampe in testa e strapparsi (per finta,
non era mica tonto il nostro gatto!) tutti i peli. Le sue (finte) lacrime
sgorgavano a fiotti, accompagnate da urla strazianti: - Vi prego, Maestà, fate
soccorrere il Marchese di Carabas, mio signore e padrone! … Alcuni balordi,
sapendo quanto è ricco, lo hanno gettato in mezzo al lago ad annegare! – e qui
la sceneggiata raggiunse il suo apice, perché il gatto si ribaltò sulla schiena
e finse di esser quasi svenuto per lo spavento e il gran dolore. – Povero,
fedele servo! – s’impietosì la principessa. – Che sia portato sulla carrozza!
I paggi subito si prodigarono, raccolsero con molta cura il
gatto e lo portarono sulla carrozza. La principessa, personalmente, lo prese in
braccio e cominciò ad accarezzarlo perché rinvenisse. – Come stai dolce
gattino? – lo interrogava preoccupata. – Mah … un po’ meglio ora che sono con
Voi … ma credo che le vostre carezze mi faranno sentire ancor meglio fra poco …
- disse il gatto sbruffone per prendersi altre carezze ancora!
Del resto, l’intelligenza viene sempre ricompensata!
Intanto il Re non vedeva l’ora di conoscere finalmente
questo Marchese di Carabas! Mandò subito paggi, maggiordomi, ciambellani,
consiglieri e tutti gli uomini del suo seguito a soccorrere quel generoso e
nobile suddito, mentre due corrieri a cavallo partirono a gran velocità verso
la Reggia, per prendere dal guardaroba reale un abito adatto al nobile ospite.
Tornati che furono, il Marchese di Carabas fu vestito e
calzato a pennello e vi dirò che, con gran disinvoltura, sapeva portare quegli
abiti regali, quasi come se li avesse sempre indossati!
Quando fu pronto, venne portato innanzi alla principessa
che, vedendo quel bel giovane tutto in ghingheri, dal portamento così fiero e
nobile … se ne innamorò in un istante, e decise che presto l’avrebbe fatto suo
sposo!
Il giovane, con fare molto garbato e nobile, ringraziò Sua
Maestà, rese omaggio alla regale figlia con un profondo inchino e prese posto
nella carrozza dorata, nella quale era stato invitato a salire e che proseguì
il viaggio.
Il gatto, con un balzo … (felino!) abbandonò le braccia
della principessa, dicendo: - Preziosa Maestà, non oso stare nello stesso luogo
in cui siede il mio padrone, vi prego di congedarmi.
La principessa, una volta ancora, apprezzò molto l’umiltà
del gatto e volentieri allargò le braccia affinché lui potesse abbandonarle.
Ma il nostro gatto aveva ben altri progetti, che corse a
realizzare eseguendo la mossa successiva del suo geniale piano!
Corse a perdifiato per un lungo tratto, fino a lasciare la
carrozza alle sue spalle.
Lungo la strada, ogni volta che incontrava dei contadini al
lavoro nei campi, gridava loro: - Ehi, brava gente, sta per passar di qui la
carrozza del Re: se vi domanderanno di
chi è questa terra, rispondete che è del Marchese di Carabas. Vedrete che
lui vi ricompenserà generosamente!
E infatti, arrivando con la carrozza, il Re si affacciava a
chiedere: - Ma di chi è questa bella terra?
E i contadini, con un inchino, puntualmente rispondevano: -
E’ del Marchese di Carabas, Sire.
E il gatto sempre avanti.
Il gatto sapeva bene che ogni Marchese … possiede un
castello: toccava dunque a lui procurarne uno al suo giovane padrone!
C’era, lungo la strada, il castello dell’Orco, che era anche
il vero padrone delle terre intorno.
Il gatto chiese d’essere ricevuto.
Quando fu davanti all’Orco, gli fece una grande riverenza,
ben sapendo che così avrebbe solleticato la vanità del padrone di casa. – Hai
chiesto di vedermi gatto, che vuoi? – lo interrogò l’Orco, abbastanza curioso
perché mai prima d’ora un gatto aveva chiesto di esser ricevuto da lui.
Il gatto fingendo un’ingenuità che certo non aveva, disse
candidamente: - Son venuto a importunarvi, signore, perché da tanto tempo ho un
dubbio e solo voi me lo potete sciogliere: è vero che voi siete capace di
trasformarvi in qualsiasi animale
vivente?... C’è chi dice di sì e chi dice di no.
L’Orco sbottò in una gran risata: - Vorrei proprio vedere
chi dice di no! Guarda!... – e subito, dinnanzi al gatto mezzo morto di paura,
l’Orco si trasformò in un enorme leone. – Ba… ba… basta! – gemette il gatto. –
Vedo con i miei occhi che sapete trasformarvi in un animale grande quanto voi e
feroce, ferocissimo! – Bene! – disse risoluto l’Orco. – Ora potrai dirlo anche
a quegli sbruffoni che dicono che io non mi so trasformare! – Oh, potete starne
certo, signore! – replicò il gatto. – Solo … - Che altro c’è, gatto? – ribatté
l’Orco che stava cominciando a seccarsi. – No, nulla, una sciocchezza … - disse
il gatto stringendosi nelle spalle e disegnando con una zampetta un semicerchio
sul pavimento … - Che sciocchezza? Se qualcun altro parla male di me, io voglio saperlo! – insistette l’Orco
sempre più irritato … E, si sa, qualunque persona (o animale!) di buon senso …
non ha nessun interesse a fare irritare un orco! – Mah … dicono che
trasformarsi in un grosso animale è assai più facile che prendere le sembianze
di una maestosa aquila … - azzardò il gatto. – Ah, ma se è solo per quello –
rise di gran gusto l’Orco – eccoti accontentato! – e subito si trasformò in
un’aquila dalle piume lucenti.
Ma, come tutti sanno, le aquile amano le alture, e così la
nostra volò via dalla finestra per raggiungere in cielo le nuvole più alte.
Com’era bello volare! Quanta emozione l’Orco-aquila provava
nello sfrecciare in ogni direzione nel cielo! Poteva andare ovunque, senza
limiti, senza confini! Questa sensazione di libertà non l’aveva mai provata!
Dall’alto, nel cielo, una voce gentile echeggiò e si udì: - E’ bellissimo
volare, gatto! Non avevo mai sperimentato una sensazione così bella! E’
meraviglioso, se solo tu potessi provare! Grazie! Non voglio più tornare Orco,
resterò aquila e volerò, volerò ovunque nel cielo azzurro! – la voce dell’Orco
era così soave che non sembrava nemmeno più lui.
Il gatto approfittò subito del momento, e gli chiese: -
Signore, forse allora non abiterai più questo castello? … - No, gatto, abiterò nel
vento! Tieni pure tu il mio castello,
a me non serve più!
Il gatto non aspettava altro.
Ora il castello era senza padrone.
Finalmente era tutto suo … anzi, del Marchese di Carabas!
Il gatto si rivolse lesto lesto a tutti coloro che
lavoravano nel castello e, con lo sguardo vittorioso, annunciò: - Tra poco
giungerà al castello la carrozza dorata del Re, la principessa e il vostro
nuovo padrone: il Marchese di Carabas. Voglio che sian ricevuti con tutti gli
onori e con gran pranzo ricco di ogni prelibatezza.
E così andò. Fu preparato il più ricco e sontuoso pranzo che
mai fosse stato servito in tutto il regno.
La principessa era sempre più innamorata e anche il giovane
figlio del mugnaio, ormai … Marchese di Carabas, ricambiava i sentimenti di
quella giovane e bella fanciulla …
Guardando il suo sguardo innamorato, però, il giovane, che
aveva ben appreso gli insegnamenti del padre, non poté tacerle la verità
… - Io ti devo parlare – disse alla principessa. – Oh, parleremo a lungo, ma
dopo il nostro matrimonio, magari … facendo insieme il pane – disse la giovane sorridendo. – Ma come? Tu sai … - tentò
di dire il ragazzo. – Non ti ho riconosciuto subito, avvolto in quegli abiti
così belli … - lei gli rivelò. – Ma i tuoi occhi … io non li ho mai scordati,
fin da quella volta in cui venni al mulino di tuo padre … - La ragazza con
paniere! – si ricordò improvvisamente il giovane. – Ero io - rise lei. – Pensi che le principesse non
facciano la spesa? Io voglio sapere come vive la gente del mio regno. Voglio
sapere se le persone sono felici, vivono serene … Che sovrana sarei se no?
Oh illuminata
principessa:
quest’occasione non
pensavo mi venisse concessa!
E’ giunto il giorno
in cui posso osservare
chi mostra saggezza
nel governare.
Tu hai compreso che
per ben regnare
è necessario
conoscere e saper ascoltare!
Solo così si
costruisce l’unione
e la parola magica è
… COLLABORAZIONE!
Il giovane era stupito e pieno di felicità. Ora poteva davvero
sposare la ragazza che amava: ora che lei sapeva che lui era il figlio del
mugnaio! – Io so che sei il ragazzo che amo. So che sei un ragazzo onesto:
il resto … sarà un nostro piccolo segreto … - disse al suo futuro sposo
sorridendo.
E proprio in quello stesso giorno fu decisa la data delle
nozze fra il Marchese-mugnaio e la principessa.
E il gatto?
Oh, non pretese poi molto: si scelse un cantuccio in cucina,
proprio vicino al focolare. Da lì i cuochi gli lanciavano sempre qualche
frittella o qualche gustoso bocconcino.
Si tolse per sempre gli stivali, non rivolse mai più la
parola a nessuno e … tornò al suo antico mestiere: quello del buon gatto di
famiglia.
Spesso il suo vecchio padroncino lo andava a trovare, lo
riempiva di carezze e di coccole, e pensava: “Oh, caro papà …”.
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