L'amico Roberto Brughitta ha scritto un bellissimo libro IL GIOCATTOLAIO (richiedetelo visitando la sua bellissima pagina e leggetelo! ) e... tra i suoi racconti quello che mi è piaciuto tantissimo è questo, che scelgo di condividere con voi, dedicandolo al mio pastrugno e a tutti i bambini del mondo ...
Il cero spento.
Certo che se mi vedesse mia madre avanzare a piccoli passi durante una processione in mezzo a decine di persone e per giunta con un cero in mano, si farebbe una sonora risata. Lei che mi ha sempre insegnato che a questo mondo nessuno ti regala nulla, tanto meno nostro signore. Era comunque a modo suo una grande devota della Madonna. Diceva sempre che lo Spirito Santo non aveva chiesto il suo permesso prima di ingravidare Maria. Mia madre vedeva questo gesto, come uno stupro bello e buono, ma il suo pensiero rimaneva comunque tra le mura domestiche. E tra quelle mura due anni fa, dopo aver saputo della morte di mio fratello in Sud America, si è spenta per un arresto cardiaco. Il suo cuore già debole non superò la triste notizia. Ad aggravare la tragedia arrivò il comunicato, che essendo scomparso in mare, il corpo di mio fratello non fu ritrovato. Nel telegramma, mandato da un fratello della sua compagna, donna di cui avevamo scoperto l’esistenza solo in quell’istante, non si parlava di nessun altro dettaglio. La stessa notte, dopo una vita passata a pulire la sua casa e le camere di un albergo a due stelle, il muscolo più importante di mia madre smise di bussarle il petto.
Con il pensiero di lei che mi guarda dall’alto, continuo ad avanzare in questa marea di persone sconosciute che intonano preghiere lagnose. La mia presenza al corteo religioso è dovuta a Santa Maria Francesca, famosa francescana operante nei quartieri spagnoli capace secondo la credenza popolare di fare restare gravide le donne sterili. A lei mia moglie fece l’anno scorso una promessa in caso di avvenuta gravidanza. Avrebbe fatto a piedi tutte le tappe del percorso del dolore, una sorta di tour per quattordici chiese sparse in tutta la città rigorosamente a piedi, con un cero acceso ed il compagno di fianco. Ci impiegammo tutta la mattinata e quando arrivai a casa il vero miracolo mi sembrarono le mie pantofole. Due giorni dopo andammo al controllo di routine che una donna incinta effettua alla scadenza di ogni mese. Inutile dire che la sala d’aspetto era gremita, a malapena trovammo un posto a sedere, anzi a dire il vero il posto fu ceduto dopo il mio sguardo severo verso la madre del ragazzino che lo occupava. Sembrava di stare davanti ad un banco di un fruttivendolo con una vasta scelta di angurie. Le bellissime pance pregne di vita tendevano verso il basso, verso l’esistenza e il volto delle donne era materno, perfino quello delle ragazzine alla prima esperienza. Forse non tutte ne erano consapevoli ma erano già madri.
Una voce mi destò dal mio scrutare avido, annunciavano il numero uno arancio. Mi prese alla sprovvista perché il numero precedente era il 12 verde. Non mi sforzai di capire il tortuoso meccanismo del reparto. Ci condussero in una stanza sulla sinistra e per almeno tre volte dovetti presentarmi come “il marito”. Fecero sdraiare mia moglie su un lettino e dopo averle scoperto la pancia le spalmarono una sorta di gel per capelli. Poi una dottoressa iniziò a scrutare l’interno dell’addome che ci veniva mostrato in un monitor davanti a noi. Fu questione di un attimo. La tipa trattenne una smorfia e uscì dalla stanza per poi tornare con una collega. Questa visibilmente più diretta guardò il monitor e poi si voltò verso di noi. “Non c’è battito”. Se non ci fosse stata la sedia sotto di me, sarei andato giù come un piombo da pesca. Santa Maria Francesca aveva fallito e così anche l’amica sensitiva che ci disse che il cielo ci avrebbe portato un bambino. Alla prima avevo dedicato una mattinata e cinquanta euro di offerta per un cero. Alla seconda una cena nel più elegante ristorante della città insieme a suo marito. Mi chiesi se non fu colpa del fatto che a un certo punto del percorso spensi il cero. Visto quello che mi era costato volevo almeno poterlo utilizzare nel caso mancasse la corrente nella zona. Scacciai via il pensiero. Il mese successivo lo passammo a litigare per ogni piccolo problema. Le uscite erano limitate ai turni di lavoro e le varie incursioni dentro Market di periferia nelle ore di chiusura. Poi ci fu un’unica voce che regnava nella casa, quella della TV. La settimana seguente arrivò un altro telegramma dal Sud America. Gli oggetti personali di mio fratello stavano arrivando con un volo che faceva solo un breve scalo nel nostro aeroporto. Poi dopo un’ora sarebbe proseguito verso Roma.
Quella mattina ci misi più di due ore a convincere mia moglie ad accompagnarmi. Penso che lo abbia fatto giusto per farmi contento in attesa di una imminente separazione. Più tardi ci trovammo in una saletta dell’aerostazione in attesa di alcuni vecchi libri e qualche camicia variopinta di cui mio fratello andava matto. Amava i colori sgargianti. Arrivò una hostess di terra che teneva nella mano destra una valigia di cartone che sembrava uscire da un film di Totò. La tipa aveva fretta. Sicuramente aveva già finito il turno perché nell’altra mano teneva la figlioletta. Chiese chi fosse il parente. Al mio cenno d’assenso poggiò la valigia nel polveroso pavimento della stanza. Quindi mi porse una cartella con sopra un foglio dove apposi sei firme. Il gesto che fece successivamente arrivò inaspettato come lo scoppio di una lampadina. Si chinò, baciò la bambina e ce la porse. La ragazza percepì subito la nostra perplessità e alla fretta che già aveva si unì l’esasperazione. Spiegò spazientita quello che secondo lei dovevamo già sapere da un telegramma successivo al primo, ma che noi non avevamo affatto ricevuto. Nell’incidente in mare perì sia mio fratello che la sua compagna. Il fratello di quest’ultima mentre sistemava gli effetti personali trovò nell’abitazione dei due sventurati una lettera. Su questa si elencavano le volontà della coppia in caso di morte di entrambi. Tra queste c’era il proposito di affidare a me e a mia moglie la loro unica figlia. Il tutto era corredato da uno scritto controfirmato dai due e da un notaio. La coppia era solita fare delle escursioni subacquee per dei documentari e spesso rischiavano la vita. Durante questi periodi la bambina veniva lasciata dal fratello di lei, ma questi non sapeva nulla della decisione dei due. Dopo averci pensato bene decise che la soluzione della coppia era anche quella più ragionevole. A malincuore decise di mandare la bambina in Italia con un accompagnatore. Chiedeva solo di avere notizie ogni tanto. Mi girai verso mia moglie per cercare i suoi occhi ma lei si era già chinata per abbracciare la piccola. Quello che non era riuscita a fare né la santa della processione e neppure la sensitiva ero riuscito a fare io con sei firme. Poi il mio sguardo si trovò a seguire il decollo di un aereo e mi vennero in mente le parole dell’amica sensitiva di mia moglie: “una bambina ti arriverà dal cielo”. Con il corpo percorso da brividi raggiunsi mia moglie all’altezza della bambina. Notai con piacere che aveva gli stessi occhi ambrati di mio fratello. Le accarezzai la guancia e le domandai se capisse quello che dicevo. La bimba annuì con un colpo deciso del viso verso il basso. Io sorrisi compiaciuto e le chiesi come si chiamasse. Lei avvicinò le sue piccole labbra al mio orecchio e ci sussurrò dentro quasi mi volesse svelare un segreto. “Mi chiamo Maria Francesca”. ♥
Certo che se mi vedesse mia madre avanzare a piccoli passi durante una processione in mezzo a decine di persone e per giunta con un cero in mano, si farebbe una sonora risata. Lei che mi ha sempre insegnato che a questo mondo nessuno ti regala nulla, tanto meno nostro signore. Era comunque a modo suo una grande devota della Madonna. Diceva sempre che lo Spirito Santo non aveva chiesto il suo permesso prima di ingravidare Maria. Mia madre vedeva questo gesto, come uno stupro bello e buono, ma il suo pensiero rimaneva comunque tra le mura domestiche. E tra quelle mura due anni fa, dopo aver saputo della morte di mio fratello in Sud America, si è spenta per un arresto cardiaco. Il suo cuore già debole non superò la triste notizia. Ad aggravare la tragedia arrivò il comunicato, che essendo scomparso in mare, il corpo di mio fratello non fu ritrovato. Nel telegramma, mandato da un fratello della sua compagna, donna di cui avevamo scoperto l’esistenza solo in quell’istante, non si parlava di nessun altro dettaglio. La stessa notte, dopo una vita passata a pulire la sua casa e le camere di un albergo a due stelle, il muscolo più importante di mia madre smise di bussarle il petto.
Con il pensiero di lei che mi guarda dall’alto, continuo ad avanzare in questa marea di persone sconosciute che intonano preghiere lagnose. La mia presenza al corteo religioso è dovuta a Santa Maria Francesca, famosa francescana operante nei quartieri spagnoli capace secondo la credenza popolare di fare restare gravide le donne sterili. A lei mia moglie fece l’anno scorso una promessa in caso di avvenuta gravidanza. Avrebbe fatto a piedi tutte le tappe del percorso del dolore, una sorta di tour per quattordici chiese sparse in tutta la città rigorosamente a piedi, con un cero acceso ed il compagno di fianco. Ci impiegammo tutta la mattinata e quando arrivai a casa il vero miracolo mi sembrarono le mie pantofole. Due giorni dopo andammo al controllo di routine che una donna incinta effettua alla scadenza di ogni mese. Inutile dire che la sala d’aspetto era gremita, a malapena trovammo un posto a sedere, anzi a dire il vero il posto fu ceduto dopo il mio sguardo severo verso la madre del ragazzino che lo occupava. Sembrava di stare davanti ad un banco di un fruttivendolo con una vasta scelta di angurie. Le bellissime pance pregne di vita tendevano verso il basso, verso l’esistenza e il volto delle donne era materno, perfino quello delle ragazzine alla prima esperienza. Forse non tutte ne erano consapevoli ma erano già madri.
Una voce mi destò dal mio scrutare avido, annunciavano il numero uno arancio. Mi prese alla sprovvista perché il numero precedente era il 12 verde. Non mi sforzai di capire il tortuoso meccanismo del reparto. Ci condussero in una stanza sulla sinistra e per almeno tre volte dovetti presentarmi come “il marito”. Fecero sdraiare mia moglie su un lettino e dopo averle scoperto la pancia le spalmarono una sorta di gel per capelli. Poi una dottoressa iniziò a scrutare l’interno dell’addome che ci veniva mostrato in un monitor davanti a noi. Fu questione di un attimo. La tipa trattenne una smorfia e uscì dalla stanza per poi tornare con una collega. Questa visibilmente più diretta guardò il monitor e poi si voltò verso di noi. “Non c’è battito”. Se non ci fosse stata la sedia sotto di me, sarei andato giù come un piombo da pesca. Santa Maria Francesca aveva fallito e così anche l’amica sensitiva che ci disse che il cielo ci avrebbe portato un bambino. Alla prima avevo dedicato una mattinata e cinquanta euro di offerta per un cero. Alla seconda una cena nel più elegante ristorante della città insieme a suo marito. Mi chiesi se non fu colpa del fatto che a un certo punto del percorso spensi il cero. Visto quello che mi era costato volevo almeno poterlo utilizzare nel caso mancasse la corrente nella zona. Scacciai via il pensiero. Il mese successivo lo passammo a litigare per ogni piccolo problema. Le uscite erano limitate ai turni di lavoro e le varie incursioni dentro Market di periferia nelle ore di chiusura. Poi ci fu un’unica voce che regnava nella casa, quella della TV. La settimana seguente arrivò un altro telegramma dal Sud America. Gli oggetti personali di mio fratello stavano arrivando con un volo che faceva solo un breve scalo nel nostro aeroporto. Poi dopo un’ora sarebbe proseguito verso Roma.
Quella mattina ci misi più di due ore a convincere mia moglie ad accompagnarmi. Penso che lo abbia fatto giusto per farmi contento in attesa di una imminente separazione. Più tardi ci trovammo in una saletta dell’aerostazione in attesa di alcuni vecchi libri e qualche camicia variopinta di cui mio fratello andava matto. Amava i colori sgargianti. Arrivò una hostess di terra che teneva nella mano destra una valigia di cartone che sembrava uscire da un film di Totò. La tipa aveva fretta. Sicuramente aveva già finito il turno perché nell’altra mano teneva la figlioletta. Chiese chi fosse il parente. Al mio cenno d’assenso poggiò la valigia nel polveroso pavimento della stanza. Quindi mi porse una cartella con sopra un foglio dove apposi sei firme. Il gesto che fece successivamente arrivò inaspettato come lo scoppio di una lampadina. Si chinò, baciò la bambina e ce la porse. La ragazza percepì subito la nostra perplessità e alla fretta che già aveva si unì l’esasperazione. Spiegò spazientita quello che secondo lei dovevamo già sapere da un telegramma successivo al primo, ma che noi non avevamo affatto ricevuto. Nell’incidente in mare perì sia mio fratello che la sua compagna. Il fratello di quest’ultima mentre sistemava gli effetti personali trovò nell’abitazione dei due sventurati una lettera. Su questa si elencavano le volontà della coppia in caso di morte di entrambi. Tra queste c’era il proposito di affidare a me e a mia moglie la loro unica figlia. Il tutto era corredato da uno scritto controfirmato dai due e da un notaio. La coppia era solita fare delle escursioni subacquee per dei documentari e spesso rischiavano la vita. Durante questi periodi la bambina veniva lasciata dal fratello di lei, ma questi non sapeva nulla della decisione dei due. Dopo averci pensato bene decise che la soluzione della coppia era anche quella più ragionevole. A malincuore decise di mandare la bambina in Italia con un accompagnatore. Chiedeva solo di avere notizie ogni tanto. Mi girai verso mia moglie per cercare i suoi occhi ma lei si era già chinata per abbracciare la piccola. Quello che non era riuscita a fare né la santa della processione e neppure la sensitiva ero riuscito a fare io con sei firme. Poi il mio sguardo si trovò a seguire il decollo di un aereo e mi vennero in mente le parole dell’amica sensitiva di mia moglie: “una bambina ti arriverà dal cielo”. Con il corpo percorso da brividi raggiunsi mia moglie all’altezza della bambina. Notai con piacere che aveva gli stessi occhi ambrati di mio fratello. Le accarezzai la guancia e le domandai se capisse quello che dicevo. La bimba annuì con un colpo deciso del viso verso il basso. Io sorrisi compiaciuto e le chiesi come si chiamasse. Lei avvicinò le sue piccole labbra al mio orecchio e ci sussurrò dentro quasi mi volesse svelare un segreto. “Mi chiamo Maria Francesca”. ♥
Ma che onore far parte di questo bellissimo spazio. Grazie.......e mi raccomando.......leggete le fiabe ai vostri figli e nipoti.
RispondiEliminaL'onore è tutto mio caro Roberto, di avere questo bellissimo e dolcissimo racconto (uno dei tanti del tuo bellissimo libro "il giocattolaio") qui, in questo piccolo angolo di web dedicato al mio pastrugno e a tutti i bimbi del mondo...
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