C’era
una volta un principe che non voleva prender moglie. Nonostante le
insistenze del re suo padre, che tanto desiderava un nipote, lui non
voleva nemmeno sentirne parlare. Ma un bel giorno, mentre era a tavola e
stava tagliando una ricotta, il figlio del re si ferì un dito e una
goccia di sangue cadde sulla ricotta.
“Ecco cosa vorrei!” disse il giovane. “Vorrei una fanciulla bianca come il latte e rossa come il sangue.”
“Figlio mio” disse la regina madre, “se è rossa non è bianca, e se è bianca non è rossa.”
“Ma è così che la voglio: una sposa con le labbra rosse come questo sangue e la pelle bianca come questa ricotta. Andrò io stesso a cercarla.”
E così il principe si incamminò, e cammina cammina superò valli e montagne. E galoppò, e galoppa galoppa attraversò prati e foreste. E navigò, e naviga naviga percorse fiumi e mari, finché un giorno approdò in una terra lontana.
Il ragazzo si inoltrò in un fitto bosco e incontrò una vecchietta.
“Che ci fai qui, ragazzo?” chiese la vecchietta, avvicinandosi. “E’ una storia lunga, nonnina. Ma per farla breve, sto cercando una fanciulla bianca come il latte e rossa come il sangue.” “Figlio mio, chi è rossa non è bianca, e chi è bianca non è rossa. Ma siccome vedo dalla tua stanchezza che viaggi da tanto tempo, voglio farti un dono. Ecco queste tre melarance. Aprile, ma solo quando sarai a un giorno di cammino dal tuo palazzo, e accanto a una fontana. Ricordati bene: solo accanto a una fontana.”
Il giovane ringraziò e si mise sulla strada di casa. Navigò, galoppò e camminò, e quando fu soltanto a un giorno dal suo palazzo, non stando più nella pelle per la curiosità, aprì la prima melarancia: ne saltò fuori una bellissima fanciulla, bianca come il latte e rossa come il sangue.
“Oh mio bel principe, gentil signore,
dammi da bere, presto, per favore” disse la fanciulla.
Il principe si precipitò alla fonte più vicina, ma non fu abbastanza svelto: la fonte era lontana, e al suo ritorno la fanciulla non c’era più.
Ancora stupito per quanto era successo, ansioso di rinnovare quel prodigio, il principe aprì senza pensarci la seconda melarancia. Anche questa volta apparve una fanciulla bellissima, dalla pelle color del latte e dalle labbra rosse come il sangue.
“Oh mio bel principe, gentil signore,
dammi da bere, presto, per favore” disse la seconda fanciulla.
Il ragazzo si precipitò all’acqua della fonte, la raccolse con le mani, ma anche questa volta non fece in tempo. Quando si volse verso la fanciulla per dissetarla, questa era già sparita.
“Devo essere più svelto e non farmi prendere dall’impazienza. Stavolta aprirò la terza melarancia vicinissimo alla fonte.”
E così fece. Si avvicinò alla fonte, aprì la melarancia, e ne uscì una fanciulla ancora più bella delle altre due.
“Oh mio bel principe, gentil signore,
dammi da bere, presto, per favore” disse la terza fanciulla.
Il principe le gettò l’acqua in viso, e questa volta la fanciulla non svanì. E poiché non aveva vesti, il principe la avvolse nel suo mantello e le disse:
“Mia dolce fanciulla, arrampicati su quest’albero e aspettami. Corro a prendere abiti degni della tua bellezza e una carrozza per portarti a palazzo, dove celebreremo le nostre nozze.”
La fanciulla fece come il giovane le aveva detto: si arrampicò in cima all’albero e, nascosta dalle foglie, attese il suo ritorno.
Il principe si era appena allontanato quando passò di lì una servetta nera, chiamata la Brutta Saracina, che tutti i giorni, alla stessa ora, andava alla fonte a prendere l’acqua, e mentre riempiva la brocca si specchiava.
Quel giorno, specchiandosi, vide il riflesso della fanciulla sull’albero e scambiandolo per il suo disse:
“Come sono bella …
E dovrei io, che non sono sciocca,
attingere l’acqua con la mia brocca?”
E gettato il vaso a terra, tornò a casa dalla sua padrona a mani vuote. Ma la padrona, vedendola tornare senz’acqua, si arrabbiò, le diede un’altra brocca e la rimandò alla fontana.
Quando la Brutta Saracina si specchiò alla fonte e vide ancora il bel viso riflesso, esclamò:
“Come sono bella …
E dovrei io, che non sono sciocca,
attingere l’acqua con la mia brocca?”
E per la seconda volta gettò la brocca a terra e tornò dalla padrona a mani vuote. E la padrona la sgridò e la mandò per la terza volta ad attingere l’acqua alla fonte, e per la terza volta la serva si vantò della sua bellezza.
Allora la fanciulla sull’albero, che fino a quel momento era stata zitta a guardare, scoppiò in una risata. La Brutta Saracina, sorpresa nella sua vanità, si voltò, guardò in alto e la vide. “Ah, siete voi quella che vedevo!” esclamò la servetta, arrabbiata. “Mi avete fatto rompere tre brocche. Chi siete?”
La fanciulla raccontò la sua storia, e la Brutta Saracina, col cuore infiammato dalla gelosia, decise di giocarle un brutto tiro. Così disse: “Perché non scendete, che vi pettino quei bei capelli?”
La fanciulla non voleva scendere, ma la servetta tanto fece e tanto disse che alla fine, persuasa dalla sua gentilezza, scese dall’albero e si lasciò pettinare.
Ma mentre le scioglieva i capelli, la Brutta Saracina prese uno spillone e glielo conficcò nella testa. Lo spillone era stregato e, quando dalla testa le stillò una goccia di sangue, la fanciulla sparì. Al suo posto comparve una colomba bianca, che volò via.
La servetta allora si arrampicò sull’albero al posto della fanciulla. Appena in tempo, perché in quel momento arrivò il principe con la carrozza e uno stuolo di servitori.
“Scendi, mia diletta sposa” disse il principe.
Ma quale non fu la sua sorpresa quando, alzando lo sguardo, vide la faccia brutta e nera della Brutta Saracina invece della bella fanciulla che aveva lasciato.
“Ti ho lasciato bianca e rossa. Come mai sei diventata così scura?” le chiese preoccupato.
La Brutta Saracina rispose:
“E’ stato il sole, col suo calore,
che m’ha cambiato di colore.”
“Oltre al colore, mi sembra che tu abbia un’altra voce” disse il giovane.
“E’ stato il vento che soffia e ruota
che mi ha reso la voce roca.”
“Ma prima eri così bella e ora sei così, così … diversa” disse ancora il figlio del re, sempre più sconsolato.
“E’ sempre il vento e il caldo spietato
che tutta la pelle mi ha bruciato.”
E così al principe, che era un giovane di parola, non rimase altro che offrire i vestiti regali alla brutta fanciulla, accompagnarla a palazzo e dare disposizione affinché fossero fatti i preparativi per le nozze.
Da quando la Brutta Saracina era arrivata a palazzo, la colomba bianca ogni mattina si posava sulla finestra della cucina e recitava al cuoco:
“In verità sai tu chi è
che sposerà il figlio del re?”
Il cuoco, sentendo la colomba ripetere sempre la stessa frase, andò dal figlio del re a raccontargli l’accaduto.
“Bene: domattina, quando la colomba torna, catturala e portamela” ordinò il principe.
Ma la Brutta Saracina aveva sentito tutto e pensò che quella colomba non le avrebbe portato di certo nulla di buono.
Il mattino dopo si nascose in cucina, e quando la colomba si posò sul davanzale, la trafisse con uno spiedo mentre il cuoco era occupato al focolare.
La colomba morì, ma dal suo sangue colato nell’orto, accanto alla finestra, nacque all’istante un albero di melarance, carico di frutti.
Ognuno di questi frutti si rivelò prodigioso, perché chi ne mangiava guariva subito da ogni malattia.
C’era sempre una gran fila di gente fuori da palazzo, accorsa per chiedere un frutto alla Saracina.
Alla fine sull’albero non rimase che una sola melarancia, che la Saracina decise di tenere per sé.
Ma un giorno arrivò una vecchietta e le chiese: “Mi donate per favore quella melarancia? Mio marito sta per morire.”
“Me n’è rimasta una soltanto, e la tengo per bellezza” rispose acida la Saracina.
“Povera nonnina. Dalle la melarancia” intervenne il principe impietosito.
E così la Saracina dovette fare buon viso a cattivo gioco e dare la melarancia alla vecchia. Ma la donna tornò a casa troppo tardi e trovò il marito morto. “Vuol dire che terrò la melarancia per ricordo” si disse per consolarsi.
Tutte le mattine, quando la vecchia andava a messa, dalla melarancia usciva la fanciulla bianca come il latte e rossa come il sangue. Accendeva il fuoco, spazzava la casa, cucinava e apparecchiava la tavola. E poi, finite le faccende, tornava nella melarancia.
Quando la vecchia tornava a casa, trovava tutto pronto e in ordine. La prima volta la sorpresa fu grande, ma piano piano ci fece quasi l’abitudine.
Ma un giorno, pensando che dietro quei fatti ci fosse qualche strana diavoleria, la vecchia confidò tutto al prete e lui la consigliò.
“Sapete che cosa dovete fare?” disse alla donna. “Preparatevi come tutte le mattine e fate finta di uscire. Invece nascondetevi: così vedrete chi viene in casa a fare i mestieri e a cucinare.”
Il mattino dopo, la vecchia fece esattamente quanto il prete le aveva suggerito. Si preparò, uscì, finse di chiudere casa e si nascose dietro la porta.
La fanciulla, pensando di essere rimasta sola come tutte le mattine, uscì dalla melarancia e cominciò a fare le pulizie di casa.
Mentre era intenta a mettere la legna nel camino, all’improvviso la vecchia sbucò da dietro la porta. La fanciulla non fece in tempo a tornare nella melarancia.
“Chi sei e da dove vieni?” le chiese la vecchia.
E la fanciulla: “Io ve lo dico, ma non fatemi del male” la supplicò.
“No che non te ne faccio, voglio solo sapere come sei arrivata qui” disse raddolcita la buona donna.
“Io abito nella melarancia …” cominciò la fanciulla, e raccontò alla vecchia tutta la sua storia per filo e per segno, da quando era uscita per la prima volta dalla melarancia alla fonte a quando si era trasformata in colomba per opera della cattiva Saracina, e poi ancora in melarancia, sempre per colpa di quella servetta crudele.
La vecchia fu mossa a pietà e pensò a uno stratagemma per fare incontrare la fanciulla con il principe.
Per prima cosa le diede degli abiti da contadina con cui vestirsi; poi, insieme, aspettarono il mattino dopo.
Al mattino, di buon’ora, le due donne andarono alla messa.
Era giorno di festa grande al villaggio, perché proprio quel giorno si celebravano le nozze tra il principe e la Saracina.
La vecchia e la fanciulla bianca come il latte e rossa come il sangue si confusero tra la folla e riuscirono ad arrivare in prima fila. Lì attesero il corteo nuziale.
Le campane suonavano a festa: la grande cerimonia stava per cominciare.
Arrivarono i paggi, seguiti dai musici, e poi la Saracina, col brutto volto nascosto da un velo bianco, al braccio del re.
Dietro di loro c’era il principe al braccio di sua madre, la regina, e il lungo corteo dei dignitari di corte.
Il corteo era arrivato in chiesa e procedeva solenne verso l’altare.
Ma quando il principe si trovò all’altezza della vecchia e della giovane contadina, si fermò di colpo.
Di fronte a lui c’era la vecchia che era venuta a palazzo, e accanto a lei una fanciulla bellissima, bianca come il latte e rossa come il sangue.
Dove aveva già visto una ragazza così bella?
Subito gli venne in mente la fonte dove gli era apparsa la fanciulla della melarancia.
“Da dove viene questa fanciulla, nonnina?” chiese alla vecchia. “E’ forse vostra nipote?”
“Viene dalla melarancia che mi donaste per guarire mio marito” rispose la vecchia.
“Anche lei da una melarancia …” disse tra sé il principe, e rivolgendosi alla fanciulla le chiese: “Come mai eravate in una melarancia?”
Lei allora gli raccontò le sue sventure, del suo incontro con la Brutta Saracina, di come questa l’aveva trasformata in colomba e aveva preso il suo posto.
Il principe fece interrompere la cerimonia.
Davanti a tutta la folla strappò il velo alla Brutta Saracina e le disse: “Oggi sono troppo felice per desiderare la tua morte. Oggi ho ritrovato la fanciulla bianca come il latte e rossa come il sangue. Non ti condannerò per quello che hai fatto. Vattene lontano da qui e non farti rivedere mai più.”
E così la Brutta Saracina ebbe salva la vita, il principe sposò la fanciulla bianca come il latte e rossa come il sangue, e da allora vissero felici e contenti.
“Ecco cosa vorrei!” disse il giovane. “Vorrei una fanciulla bianca come il latte e rossa come il sangue.”
“Figlio mio” disse la regina madre, “se è rossa non è bianca, e se è bianca non è rossa.”
“Ma è così che la voglio: una sposa con le labbra rosse come questo sangue e la pelle bianca come questa ricotta. Andrò io stesso a cercarla.”
E così il principe si incamminò, e cammina cammina superò valli e montagne. E galoppò, e galoppa galoppa attraversò prati e foreste. E navigò, e naviga naviga percorse fiumi e mari, finché un giorno approdò in una terra lontana.
Il ragazzo si inoltrò in un fitto bosco e incontrò una vecchietta.
“Che ci fai qui, ragazzo?” chiese la vecchietta, avvicinandosi. “E’ una storia lunga, nonnina. Ma per farla breve, sto cercando una fanciulla bianca come il latte e rossa come il sangue.” “Figlio mio, chi è rossa non è bianca, e chi è bianca non è rossa. Ma siccome vedo dalla tua stanchezza che viaggi da tanto tempo, voglio farti un dono. Ecco queste tre melarance. Aprile, ma solo quando sarai a un giorno di cammino dal tuo palazzo, e accanto a una fontana. Ricordati bene: solo accanto a una fontana.”
Il giovane ringraziò e si mise sulla strada di casa. Navigò, galoppò e camminò, e quando fu soltanto a un giorno dal suo palazzo, non stando più nella pelle per la curiosità, aprì la prima melarancia: ne saltò fuori una bellissima fanciulla, bianca come il latte e rossa come il sangue.
“Oh mio bel principe, gentil signore,
dammi da bere, presto, per favore” disse la fanciulla.
Il principe si precipitò alla fonte più vicina, ma non fu abbastanza svelto: la fonte era lontana, e al suo ritorno la fanciulla non c’era più.
Ancora stupito per quanto era successo, ansioso di rinnovare quel prodigio, il principe aprì senza pensarci la seconda melarancia. Anche questa volta apparve una fanciulla bellissima, dalla pelle color del latte e dalle labbra rosse come il sangue.
“Oh mio bel principe, gentil signore,
dammi da bere, presto, per favore” disse la seconda fanciulla.
Il ragazzo si precipitò all’acqua della fonte, la raccolse con le mani, ma anche questa volta non fece in tempo. Quando si volse verso la fanciulla per dissetarla, questa era già sparita.
“Devo essere più svelto e non farmi prendere dall’impazienza. Stavolta aprirò la terza melarancia vicinissimo alla fonte.”
E così fece. Si avvicinò alla fonte, aprì la melarancia, e ne uscì una fanciulla ancora più bella delle altre due.
“Oh mio bel principe, gentil signore,
dammi da bere, presto, per favore” disse la terza fanciulla.
Il principe le gettò l’acqua in viso, e questa volta la fanciulla non svanì. E poiché non aveva vesti, il principe la avvolse nel suo mantello e le disse:
“Mia dolce fanciulla, arrampicati su quest’albero e aspettami. Corro a prendere abiti degni della tua bellezza e una carrozza per portarti a palazzo, dove celebreremo le nostre nozze.”
La fanciulla fece come il giovane le aveva detto: si arrampicò in cima all’albero e, nascosta dalle foglie, attese il suo ritorno.
Il principe si era appena allontanato quando passò di lì una servetta nera, chiamata la Brutta Saracina, che tutti i giorni, alla stessa ora, andava alla fonte a prendere l’acqua, e mentre riempiva la brocca si specchiava.
Quel giorno, specchiandosi, vide il riflesso della fanciulla sull’albero e scambiandolo per il suo disse:
“Come sono bella …
E dovrei io, che non sono sciocca,
attingere l’acqua con la mia brocca?”
E gettato il vaso a terra, tornò a casa dalla sua padrona a mani vuote. Ma la padrona, vedendola tornare senz’acqua, si arrabbiò, le diede un’altra brocca e la rimandò alla fontana.
Quando la Brutta Saracina si specchiò alla fonte e vide ancora il bel viso riflesso, esclamò:
“Come sono bella …
E dovrei io, che non sono sciocca,
attingere l’acqua con la mia brocca?”
E per la seconda volta gettò la brocca a terra e tornò dalla padrona a mani vuote. E la padrona la sgridò e la mandò per la terza volta ad attingere l’acqua alla fonte, e per la terza volta la serva si vantò della sua bellezza.
Allora la fanciulla sull’albero, che fino a quel momento era stata zitta a guardare, scoppiò in una risata. La Brutta Saracina, sorpresa nella sua vanità, si voltò, guardò in alto e la vide. “Ah, siete voi quella che vedevo!” esclamò la servetta, arrabbiata. “Mi avete fatto rompere tre brocche. Chi siete?”
La fanciulla raccontò la sua storia, e la Brutta Saracina, col cuore infiammato dalla gelosia, decise di giocarle un brutto tiro. Così disse: “Perché non scendete, che vi pettino quei bei capelli?”
La fanciulla non voleva scendere, ma la servetta tanto fece e tanto disse che alla fine, persuasa dalla sua gentilezza, scese dall’albero e si lasciò pettinare.
Ma mentre le scioglieva i capelli, la Brutta Saracina prese uno spillone e glielo conficcò nella testa. Lo spillone era stregato e, quando dalla testa le stillò una goccia di sangue, la fanciulla sparì. Al suo posto comparve una colomba bianca, che volò via.
La servetta allora si arrampicò sull’albero al posto della fanciulla. Appena in tempo, perché in quel momento arrivò il principe con la carrozza e uno stuolo di servitori.
“Scendi, mia diletta sposa” disse il principe.
Ma quale non fu la sua sorpresa quando, alzando lo sguardo, vide la faccia brutta e nera della Brutta Saracina invece della bella fanciulla che aveva lasciato.
“Ti ho lasciato bianca e rossa. Come mai sei diventata così scura?” le chiese preoccupato.
La Brutta Saracina rispose:
“E’ stato il sole, col suo calore,
che m’ha cambiato di colore.”
“Oltre al colore, mi sembra che tu abbia un’altra voce” disse il giovane.
“E’ stato il vento che soffia e ruota
che mi ha reso la voce roca.”
“Ma prima eri così bella e ora sei così, così … diversa” disse ancora il figlio del re, sempre più sconsolato.
“E’ sempre il vento e il caldo spietato
che tutta la pelle mi ha bruciato.”
E così al principe, che era un giovane di parola, non rimase altro che offrire i vestiti regali alla brutta fanciulla, accompagnarla a palazzo e dare disposizione affinché fossero fatti i preparativi per le nozze.
Da quando la Brutta Saracina era arrivata a palazzo, la colomba bianca ogni mattina si posava sulla finestra della cucina e recitava al cuoco:
“In verità sai tu chi è
che sposerà il figlio del re?”
Il cuoco, sentendo la colomba ripetere sempre la stessa frase, andò dal figlio del re a raccontargli l’accaduto.
“Bene: domattina, quando la colomba torna, catturala e portamela” ordinò il principe.
Ma la Brutta Saracina aveva sentito tutto e pensò che quella colomba non le avrebbe portato di certo nulla di buono.
Il mattino dopo si nascose in cucina, e quando la colomba si posò sul davanzale, la trafisse con uno spiedo mentre il cuoco era occupato al focolare.
La colomba morì, ma dal suo sangue colato nell’orto, accanto alla finestra, nacque all’istante un albero di melarance, carico di frutti.
Ognuno di questi frutti si rivelò prodigioso, perché chi ne mangiava guariva subito da ogni malattia.
C’era sempre una gran fila di gente fuori da palazzo, accorsa per chiedere un frutto alla Saracina.
Alla fine sull’albero non rimase che una sola melarancia, che la Saracina decise di tenere per sé.
Ma un giorno arrivò una vecchietta e le chiese: “Mi donate per favore quella melarancia? Mio marito sta per morire.”
“Me n’è rimasta una soltanto, e la tengo per bellezza” rispose acida la Saracina.
“Povera nonnina. Dalle la melarancia” intervenne il principe impietosito.
E così la Saracina dovette fare buon viso a cattivo gioco e dare la melarancia alla vecchia. Ma la donna tornò a casa troppo tardi e trovò il marito morto. “Vuol dire che terrò la melarancia per ricordo” si disse per consolarsi.
Tutte le mattine, quando la vecchia andava a messa, dalla melarancia usciva la fanciulla bianca come il latte e rossa come il sangue. Accendeva il fuoco, spazzava la casa, cucinava e apparecchiava la tavola. E poi, finite le faccende, tornava nella melarancia.
Quando la vecchia tornava a casa, trovava tutto pronto e in ordine. La prima volta la sorpresa fu grande, ma piano piano ci fece quasi l’abitudine.
Ma un giorno, pensando che dietro quei fatti ci fosse qualche strana diavoleria, la vecchia confidò tutto al prete e lui la consigliò.
“Sapete che cosa dovete fare?” disse alla donna. “Preparatevi come tutte le mattine e fate finta di uscire. Invece nascondetevi: così vedrete chi viene in casa a fare i mestieri e a cucinare.”
Il mattino dopo, la vecchia fece esattamente quanto il prete le aveva suggerito. Si preparò, uscì, finse di chiudere casa e si nascose dietro la porta.
La fanciulla, pensando di essere rimasta sola come tutte le mattine, uscì dalla melarancia e cominciò a fare le pulizie di casa.
Mentre era intenta a mettere la legna nel camino, all’improvviso la vecchia sbucò da dietro la porta. La fanciulla non fece in tempo a tornare nella melarancia.
“Chi sei e da dove vieni?” le chiese la vecchia.
E la fanciulla: “Io ve lo dico, ma non fatemi del male” la supplicò.
“No che non te ne faccio, voglio solo sapere come sei arrivata qui” disse raddolcita la buona donna.
“Io abito nella melarancia …” cominciò la fanciulla, e raccontò alla vecchia tutta la sua storia per filo e per segno, da quando era uscita per la prima volta dalla melarancia alla fonte a quando si era trasformata in colomba per opera della cattiva Saracina, e poi ancora in melarancia, sempre per colpa di quella servetta crudele.
La vecchia fu mossa a pietà e pensò a uno stratagemma per fare incontrare la fanciulla con il principe.
Per prima cosa le diede degli abiti da contadina con cui vestirsi; poi, insieme, aspettarono il mattino dopo.
Al mattino, di buon’ora, le due donne andarono alla messa.
Era giorno di festa grande al villaggio, perché proprio quel giorno si celebravano le nozze tra il principe e la Saracina.
La vecchia e la fanciulla bianca come il latte e rossa come il sangue si confusero tra la folla e riuscirono ad arrivare in prima fila. Lì attesero il corteo nuziale.
Le campane suonavano a festa: la grande cerimonia stava per cominciare.
Arrivarono i paggi, seguiti dai musici, e poi la Saracina, col brutto volto nascosto da un velo bianco, al braccio del re.
Dietro di loro c’era il principe al braccio di sua madre, la regina, e il lungo corteo dei dignitari di corte.
Il corteo era arrivato in chiesa e procedeva solenne verso l’altare.
Ma quando il principe si trovò all’altezza della vecchia e della giovane contadina, si fermò di colpo.
Di fronte a lui c’era la vecchia che era venuta a palazzo, e accanto a lei una fanciulla bellissima, bianca come il latte e rossa come il sangue.
Dove aveva già visto una ragazza così bella?
Subito gli venne in mente la fonte dove gli era apparsa la fanciulla della melarancia.
“Da dove viene questa fanciulla, nonnina?” chiese alla vecchia. “E’ forse vostra nipote?”
“Viene dalla melarancia che mi donaste per guarire mio marito” rispose la vecchia.
“Anche lei da una melarancia …” disse tra sé il principe, e rivolgendosi alla fanciulla le chiese: “Come mai eravate in una melarancia?”
Lei allora gli raccontò le sue sventure, del suo incontro con la Brutta Saracina, di come questa l’aveva trasformata in colomba e aveva preso il suo posto.
Il principe fece interrompere la cerimonia.
Davanti a tutta la folla strappò il velo alla Brutta Saracina e le disse: “Oggi sono troppo felice per desiderare la tua morte. Oggi ho ritrovato la fanciulla bianca come il latte e rossa come il sangue. Non ti condannerò per quello che hai fatto. Vattene lontano da qui e non farti rivedere mai più.”
E così la Brutta Saracina ebbe salva la vita, il principe sposò la fanciulla bianca come il latte e rossa come il sangue, e da allora vissero felici e contenti.
Bellissima
RispondiEliminaho cercato questa fiaba per tanto tempo perché è un ricordo di quando mia madre me la raccontava da piccolina, ora io sono nonna ma ne avevo una gran nostalgia.........
RispondiEliminaAnche per me ka stessa cosa. Non la ricordavo per raccontarla ai miri nopoti
EliminaМои любимые итальянские сказки!!!
RispondiEliminaAnch'io la ricordavo dagli anni 70 ❤
RispondiEliminaCiao. Volevo chiederti se questa è una favola italiana e se per caso sai da che zona proviene.
RispondiEliminaGrazie!
la mia mamma me la raccontava un po diversa e ancora più elaborata. cosi ricorda quasi Biancaneve pero mi piace molto e la mia nipotina deve portare il riassunto a scuola!grazie di avermi rinverdito le idee Delia
RispondiEliminaBellissima me la raccontava sempre la mia nonnina!!!
RispondiEliminaio la recitavo con mia zia, per giocare, mi piaceva tantissimo, era tutta in rima però ... vorrei tanto ritrovare quel testo, ho brevi e vaghi ricordi tipo : "cuoco cuoco della
RispondiEliminamala cucina , che fa il re con la mora saracina?, mi daresti una pappardella che io ti darei una piuma bella?"
Provate a leggere la raccolta di fiabe italiane di Italo Calvino ed. Einaudi
RispondiEliminaUna fiaba stupenda!!!!! Grazie per avermela fatta scoprire!
RispondiEliminaMia nonna attorniata da tanti nipoti a far giù il granoturco, imbambolati e produttivi. Bei ricordi
RispondiEliminala favola più bella della mia infanzia. Mai trovata sui libri. Grazie infinite per averla pubblicata.
RispondiEliminaSì, anche a me sembra che faccia parte della raccolta di Fiabe Italiane, di Italo Calvino. Credo provenga dalla Puglia. È davvero bella.
RispondiEliminaUn tuffo nel passato. Quanta nostalgia....
RispondiEliminaMia nonna, dell'appennino Tosco-Emiliano, me la raccontava negli anni cinquanta.
RispondiEliminaMe la raccontava mia nonna (di Urbino) negli anni ‘50 !
RispondiEliminaAnche io ricordo il racconto della nonna 😘
RispondiEliminaSono felice di averla ritrovata,l'avevo letta alla scuola elementare a inizi anni 60. Bellissima.
RispondiEliminaE........
RispondiEliminaNegli anni 50 ero piccina e me la raccontava sempre nonna Maria,ma io,appoggiata al suo seno, mi addormentavo puntualmente all apertura delle tre melarance. Ora finalmente conosco gli sviluppi e il finale. Grazie a voi.
RispondiEliminala mia nonna, della provincia di lucca, me la raccontava negli anni sessanta…. probabilmente ci aveva messo molto del suo … ma era lostesso incantevole
RispondiEliminaBellissima, era la mia fiaba preferita. Me la raccontava la mia zia prima di dormire.
RispondiEliminaMe la raccontava uno zio pugliese negli anni 60, può essere pugliese l' origine della fiaba
RispondiElimina